Improvvisare: sì, ma anche no
Improvisus (imprevisto in latino) è la radice della parola improvvisazione, che il dizionario definisce come “capacità di inventare qualcosa sul momento”.
Certamente saper dare forma a qualcosa mentre la si fa è una qualità che può generare immenso valore. Il virtuosismo jazz nasce come esperimento di improvvisazione, e molto spesso le migliori intuizioni – anche nel business – sono nate proprio così.
Tuttavia c’è anche un rovescio della medaglia, e può essere deleterio. L’improvvisazione può infatti sfociare anche in superficialità, tuttologia, approssimazione, soprattutto quando si esce dal terreno sicuro delle regole.
I social network sono zeppi di sedicenti esperti in medicina, politica estera e alta finanza e l’improvvisazione dilaga in qualunque ambito professionale.
Il qualunquismo diventa estremamente pericoloso soprattutto in un settore delicato come il nostro, dove non è difficile vedere pensionati che installano “sicurezza”, consulenti che vendono prodotti, produttori che fanno alta formazione giuridica, commerciali che si improvvisano editori e così via. Tutti fanno tutto, e tutto male. Per carità, nessuno vuole limitare la libertà d’impresa, ma si parta almeno dal rispetto delle regole.
Solo entro questo perimetro si può improvvisare - creare, inventare - senza fare male. Perché chi fa le cose fatte male, non danneggia solo se stesso: danneggia l’intero comparto.
E anche perché – lo diceva il Manzoni - operare senza regole è il mestiere più faticoso e difficile che ci sia.