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Come t’incastro i furbetti del cartellino

17/07/2019

della Redazione

C’è chi arriva in ufficio, timbra la presenza e se ne torna a casa o a fare shopping. E c’è chi al lavoro non ci va proprio, tanto a timbrare il cartellino ci pensa il collega. Nelle aziende pubbliche (e private) illeciti e assenteismo stanno diventando fenomeni sempre più preoccupanti. E questo nonostante i controlli, le denunce, gli arresti. Possibile che non ci sia un sistema capace d’incastrare i “furbetti del cartellino”? Una soluzione ci sarebbe, ma…

I  furbetti del cartellino. Un nuovo stereotipo italian style sta conquistando le prime pagine dei giornali, accende il dibattito alla radio e TV, anima le discussioni sui social. Negli uffici pubblici il fenomeno degli abusi sull’orario di lavoro è come la gramigna, un’erba infestante difficile da estirpare. Possibile che non ci sia un sistema, una tecnologia in grado di mettere con le spalle al muro chi froda lo Stato (cioè tutti noi) lavorando il meno del dovuto?

Eppure la legge parla chiaro. Le pubbliche amministrazioni devono dotarsi di un sistema efficace e puntuale per registrare gli orari di lavoro. Soluzione a parte – sia essa basata su badge, cartellino da inserire nell’orologio elettromeccanico o registro firma – a verificare la presenza effettiva, a snidare e colpire gli assenti ingiustificati dovrebbero essere i dirigenti. Non lo fanno, almeno non tutti e non sempre. Oberati da troppo lavoro? Mah. Sta di fatto che il controllo interno non è risolutivo. Quando interviene la magistratura facendo pedinare i sospetti e installando telecamere nascoste, qualche risultato si ottiene.

Basterebbe una verifica

Un classico sistema elettronico di rilevazione presenze comprende uno o più rilevatori basati su badge e connessi in rete a un’unità centrale di elaborazione (Server o PC), nonché un’applicazione software dedicata. Il software, in particolare, oltre ad elaborare e calcolare il numero e tipologia di ore lavorate per passarle al programma paghe, fornisce in tempo reale la situazione dei presenti e degli assenti (anche dei ritardatari). Già l’adozione di un sistema di questo tipo consentirebbe di ridurre gli illeciti. Basterebbe accertarsi che le persone indicate dal sistema come presenti al lavoro lo siano effettivamente. Una banale e rapida verifica sul posto.

La soluzione è la biometria?

È quasi un ventennio ormai che per correre ai ripari s’invoca l’uso della biometria. C’è chi sostiene che un controllo tramite la verifica delle impronte digitali o di altri tratti fisici individuali, sarebbe il toccasana. È da tempo che in Italia la politica promette di voler adottare la rilevazione presenze biometrica nella PA. L’attuale Governo sembra essere molto determinato in proposito. Il provvedimento è contenuto nel DdL “concretezza” (art. 2). Per ora viene stabilito il principio, mentre la realizzazione è affidata a un successivo decreto. Vedrà la luce? Difficile a dirsi perché si fanno sempre i conti senza l’oste. Innanzi tutto il Garante della privacy, a torto o a ragione, è contrario. In Italia la rilevazione delle presenze al lavoro tramite la verifica biometrica è vietata senza se e senza ma. L’uso della biometria, invece, è consentito nel controllo degli accessi attraverso un varco (porta, tornello ecc.) a locali riservati o ad alto rischio ma solo su base volontaria e a determinate condizioni e procedure. Ciò nonostante molte aziende adottano la biometria nelle presenze asserendo che non esistono divieti in proposito nel settore privato o le “confondono” con gli accessi di sicurezza, complici Internet e fornitori senza scrupoli. In secondo luogo non si comprende come farebbero le amministrazioni pubbliche, specie quelle più piccole, a sostenere l’investimento quando non hanno neanche gli spiccioli per comprare la carta igienica. Infine, ci si chiede, il metodo è davvero efficace? L’uso della biometria stronca il fenomeno del “contoterzismo” (impossibile affidare ad altri la propria mano od occhio per timbrare), ma non impedisce al dipendente infedele di abbandonare il posto di lavoro dopo aver timbrato. E allora?

La carta vincente

La soluzione ci sarebbe: integrare rilevazione presenze e controllo accessi fisici. Il dipendente per accedere o abbandonare il luogo di lavoro deve necessariamente poggiare il dito (ma basterebbe il badge) e passare attraverso un varco che consenta il transito di una persona alla volta (tornello, bussola e simili). Il monitoraggio delle altre vie di uscita perimetrali, l’attivazione della funzione anti pass-back (il sistema non lascia uscire la persona se non l’ha vista entrare e viceversa), l’impiego di dispositivi antiscavalcamento e di altri accorgimenti (ove necessari) impedirebbero di aggirare il sistema. Solo così si è certi che la persona è fisicamente presente negli uffici e che, una volta entrata, non può abbandonare il posto di lavoro se non registrando obbligatoriamente l’uscita. E perché non si fa? Mancano i quattrini, è la risposta ufficiale. E se i soldi si trovano, non c’è lo spazio dove installare i varchi, non sono più garantite le vie di fuga in caso di emergenza, la misura appare eccessiva…

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