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“Crisi della rappresentatività: quali conseguenze per la filiera della sicurezza?”

04/01/2012

di Ilaria Garaffoni

Questo il titolo di un tavolo di confronto che ha avuto luogo lo scorso 27 ottobre a Bari, in seno ad IP Security Forum, dove le rappresentanze di associazioni contigue o convergenti del comparto sicurezza hanno dialogato su un fronte unico: dalla sicurezza informatica alla teleimpiantistica, dai servizi di vigilanza e delle consulenze IT alle investigazioni private, dai security manager agli installatori professionali di sicurezza.

Primariamente è emerso che il concetto di crisi della rappresentatività si può declinare in vari modi. O con un'emorragia delle imprese associate dovuta ad una sfiducia verso il sistema associazionistico, derivante dall'incapacità di ottenere credito nelle interlocuzioni con il decisore e dalla difficoltà a sostenere le relazioni industriali, oppure con una crisi delle vocazioni apicali all'interno delle espressioni associative, che finisce per tradursi in candidature mosse da personalismi. O tutto questo assieme. Lo dimostrano i recenti fatti di cronaca associativa, l'abbandono del mondo confindustriale da parte di Fiat, le fratture sempre più radicate tra le stesse parti sindacali confederate. Un problema che rende vischiose le relazioni industriali, soprattutto alla vigilia di un importante riassetto innescato dall'art. 8 della manovra bis del Governo. Il problema si fa ancor più pericoloso nel settore sicurezza - per sua natura piccolo, già ampiamente parcellizzato e chiamato a fronteggiare una recessione globale in un momento di sempre più intensa convergenza tra security e safety, tra tecnologia e servizi di sicurezza, tra sicurezza fisica e logica. Ma dove nasce il problema? Siamo noi italiani ad essere troppo individualisti o è il comparto sicurezza che non sa fare sistema? Oppure è un fatto di miopia politica e di incapacità istituzionale di esprimere delle figure capaci di recepire le istanze del mercato?

Secondo Mariella Pappalepore (Confindustria Bari e BAT), politiche antimpresa, tasse e balzelli, avanzata dell'abusivismo e del low cost sono anche frutto di un'incapacità strutturale di trovare linee d'indirizzo comuni per rivolgersi al decisore con proposte chiare, univoche e forti. Per far fronte a questo deficit, le associazioni – legittimamente portatrici di interessi diversi – dovrebbero aprire un dialogo franco e diretto per proporsi con un fronte coeso almeno sugli aspetti comuni e trasversali. Un punto di sintesi tra interessi diversi e trasversali che Assistal cerca da sempre di perseguire, contenendo al proprio interno compagini associative distinte, anche se – ricorda Maurizio Esitini (Assistal) ormai "sono cambiate le interlocuzioni con il decisore, che mostra sempre meno interesse verso le istanze di categoria: la legge 46/90 è stata scritta assieme alle nostre rappresentanze, mentre per il decreto 37/08 il dialogo è stato solo di facciata e gli errori si sono visti subito". Forse si tratta anche di un approccio sbagliato ai sistemi di rappresentanza, ricorda Tommaso Scaringella (Aips): le associazioni sono spesse viste come una struttura per avere e non per dare. "Ma fare aggregazione è essenziale: nel nostro caso, confluendo in Assistal ci siamo seduti al tavolo IMQ, abbiamo ottenuto una lettera "f" che cambia il nostro modo di operare e partecipiamo al Gruppo di Lavoro interno al CT CEI 79. Con una forte rappresentatività si potrebbe affrontare assieme anche la crisi".

Del resto, uno dei pochi effetti positivi della crisi è stata proprio la spinta verso il confluimento in contenitori sempre più grandi, che comportano minori costi associativi e maggiore rappresentatività. Per Genuario Pellegrino (Federpol) la base associativa cresce perché deve: una recente riforma ha infatti rivoluzionato le investigazioni, imponendo un confronto con normative e competenze che al momento solo l'associazione può offrire. "Dubito però che le imprese credano realmente nell'associazionismo. Nuove sigle aggregative nascono e muoiono dall'oggi al domani. Credo ancora nella logica di filiera, ma con un certo disicanto". Pasquale Mancino (Aipsa) si domanda in prima battuta di quale filiera si stia parlando, considerate anche le notevoli differenze tra le compagini rappresentative aderenti al tavolo di confronto, e richiama alla concretezza: "prima di chiedere di essere 'rappresentati', è bene capire e condividere cosa si chiede e a chi, con quali obiettivi e con quali priorità". Luigi Gabriele (Federsicurezza) crede nella logica aggregativa di comparto e nel dialogo tra gli operatori, sebbene le premesse siano assai poco confortanti: "nella nicchia della vigilanza ci sono ben sette associazioni che spesso cedono all'autoreferenzialità, diventando soggetti terzi rispetto alle imprese associate.

Il sistema delle sinergie dovrebbe pertanto partire dal basso, perché le soluzioni verticistiche portano solo alla ripetizione delle uscite alla Marchionne". Quindi? Buttiamo via il bambino con l'acqua sporca? Al contrario: Confindustria Bari Bat, AIPS, AIPSA, AIPSI, Assistal, Federpol e Federsicurezza hanno deciso di andare avanti col dialogo, creando piattaforme interassociative su temi e progetti specifici (Maurizio Mapelli, Aipsi), basate su confronti sani e concreti, se occorre verticali in composizioni più ristrette (Gaetano Montingelli, Assotel), a partire dalla regolamentazione degli sconfinamenti di business in aree limitrofe o convergenti ("certe iniziative 'anarchiche' delle nostre imprese hanno portato solo al fai da te ", ammette Gabriele). Si è usciti quindi con un impegno programmatico: pensare ad un modello dialogato che individui le possibili sinergie tra i diversi attori, in una logica di larghe intese su punti specifici. Fedele al proprio ruolo guida nella governance dei processi di convergenza che muovono il comparto, il magazine a&s Italy, nella persona di Ilaria Garaffoni (che moderava l'incontro), si è fatto carico di raccogliere le istanze e stimolare il relativo confronto.



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