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Fare sicurezza antincendio con la Fire Safety Engineering

09/09/2019

di Antonino Panìco - Ingegnere esperto in materia di prevenzione incendi, di impianti di estinzione e di ingegneria della sicurezza antincendio

“Anche se è dal 2007 che è concesso e codificato, in Italia solo oggi si può realisticamente fare sicurezza antincendio non solo tramite le norme prescrittive, ma anche con l’ingegneria e lo studio, con le intuizioni, la fisica, la matematica, l’informatica e la psicologia... Oltre che con il cosiddetto “giudizio esperto”. In altre parole con la FSE, Fire Safety Enginering. 

Il decreto ministeriale 9 maggio 2007 e le regole ad esso collegate hanno introdotto tale possibilità consentendo, a chi ne fosse in grado, di valutare le prestazioni di un edificio in relazione agli obbiettivi di sicurezza che ci si pone di raggiungere mediante l’utilizzo dei metodi dell’ingegneria della sicurezza antincendi. In altre parole: prevedere l’evoluzione di un incendio selezionando quello/quelli che più realisticamente possono avvenire in quel determinato luogo con quel determinato quantitativo e particolarità di materiale conservato e/o utilizzato. Tutto ciò con l’utilizzo di software di modellazione fluidodinamica computazionale del tutto simili ai software utilizzati per le previsioni del tempo, solo che il rischio non è quello di fare un picnic sotto la pioggia, ma di morire intossicati o sotto il crollo di un elemento strutturale.

Un processo estenuante

Il processo era molto articolato, lungo e pieno di insidie, burocrazia e condivisioni con il ministero dell’Interno attraverso i CPVVF ed i loro funzionari tecnici per la determinazione degli scenari di incendio possibili e credibili. Poi “finalmente” tutto passava al vaglio superiore delle Direzioni Regionali dei VVF per la definitiva approvazione. Un processo estenuante, spesso al punto da far tornare sui propri passi e decidere di cambiare immobile, di utilizzare protettivi magici al fuoco, realizzando tunnel di sicurezza al centro di capannoni molto grandi, sprecando spazi e spendendo capitali inutili per ottenere una sicurezza effimera che toglieva risorse alla produttività.. o più tristemente, arrendendosi e non proseguendo nella messa a norma dal punto di vista antincendi.

Un fatto gravissimo perché gli impedimenti di natura tecnica e/o economica, se portano ad esercire senza titolo e quindi da un punto di vista amministrativo in regime di irregolarità, creano una situazione di scarsa sicurezza e quindi una questione di gravità sostanziale e non solo formale.

Antincendio “notarile” 

Ma quando si era in grado di provarci, si tentava e qualche volta ci si riusciva, anche se molto spesso non si era neppure a conoscenza della tecnologia o l’approccio era così complesso e costoso - e lo scetticismo era tale - da seguire alla lettera le regole tecniche, applicando le misure di sicurezza antincendio in maniera “notarile”.

Qualche esempio?

Si immagini un percorso di esodo che la norma chiede sia al massimo 45 metri: e se avessimo 46, 47 o 50 metri? E ancora: quando si è in fuga si cammina a circa un metro al secondo. Uno, due o tre secondi in meno potrebbero salvarci la vita? Dopo quanto tempo ci si mette in fuga dopo aver sentito l’allarme? I tempi “medi” in un albergo sono di 30 minuti! Chi controlla, che dovrebbe fare? Sospendere le attività? Con quali risvolti economici e sociali nei confronti della collettività? 

“Fare sicurezza” per davvero

Fare sicurezza non significa rispettare norme prescrittive ed ottenere il titolo abilitativo: significa entrare nell’intimo dell’incendio, studiarne l’evoluzione, immaginarne gli effetti, proteggere le persone. Fare sicurezza non è ottenere l’ormai pensionato CPI (ora si chiama SCIA ai fini antincendio). Oggi diamo il benvenuto al CO.P.I (codice di prevenzione incendi DM 3 agosto 2105) e al DM 12 aprile 2019 che lo renderà obbligatorio da ottobre. Diamo il benvenuto alle revisioni che lo migliorano lo integrano e lo rendono uno strumento semi-prestazionale di utilizzo per i progettisti.

Alternative?

Le soluzioni alternative sono concesse senza bisogno di deroghe e sono indicati già i valori di riferimento nei capitoli M per i casi più semplici. Per il resto c’è la letteratura tecnica, c’è la rete, ci sono i laboratori di prova, c’è l’ingegno e ci sono i software. Per operare in questo modo ci vuole una particolare esperienza ed una particolare conoscenza dei fenomeni fisici legati al fuoco, quindi è essenziale rivolgersi a chi sa quello che sta facendo. Non è sempre possibile dimostrare che l’incendio naturale, ad esempio, non scalfisca una trave e quindi si possa evitare di proteggerla con vernici od intonaci particolari, come prevederebbe la regola prescrittiva, oppure che percorsi di esodo da 90 metri sono utilizzabili piuttosto che quelli prescritti da 45. Non sempre ... ma spesso.

La versione integrale dell’articolo riporta tabelle, box o figure, per visualizzarle apri il pdf allegato.  

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