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Attività di polizia: dal controllo del territorio fisico a quello virtuale

12/03/2018

di Sergio Bedessi - Presidente CEDUS (Centro Documentazione Sicurezza Urbana e Polizia Locale), Comandante Polizia Municipale di Pistoia, già comandante in varie città italiane, autore di libri ed articoli in materia di sicurezza urbana, docente e formatore.

Oggigiorno i social media (Facebook, Twitter, Instagram, LinkedIn, Pinterest, Snapchat, ecc.) stanno fortemente modificando le abitudini sociali e con esse anche le modalità con le quali vengono commessi i reati; chi delinque li usa non solo come strumento di comunicazione, ma sempre più spesso per ottenere informazioni utili sulle future vittime e per entrarci in contatto. E questo sposta anche il campo d’indagine della polizia: dal controllo del territorio al controllo dello spazio virtuale.

I social media sono strumenti computer mediated (hanno necessità di un hardware per funzionare, che sempre più spesso è uno smartphone o un tablet) che consentono alle persone di condividere contenuti di vario tipo, spesso modificati nei vari passaggi; l’utilizzo dei social media tramite smartphone rende i loro contenuti ancor più ricchi sotto vari aspetti (esempio: la georeferenziazione che collega ai materiali condivisi, come un’immagine, la loro posizione) e le interazioni più rapide e frequenti. Le principali caratteristiche dei social media sono:

• annullamento della distanza fisica fra i soggetti che interagiscono;

• annullamento della distanza sociale, in quanto facilitano le interazioni fra persone di estrazione sociale diversa;

• condivisione emotiva maggiore rispetto ad altri mezzi, visto che si basa su contenuti molto espliciti (immagini, musica, video, ecc.) che possono essere arricchiti ad ogni passaggio.

Queste caratteristiche producono una notevole “viralità” in termini di propagazione delle informazioni e fanno divenire i social media una vera e propria miniera di informazioni, tanto per i delinquenti quanto per gli organi di polizia. Essi si prestano alla commissione di nuove tipologie di reati, prima impensabili (come il social network bullying oppure il cyber squatting o ancora il ramsomware), sui quali indaga la Polizia Postale e delle Comunicazioni, specialità della Polizia di Stato, ma anche ad essere strumento di comunicazione da parte di chi commette illeciti (esempio: lo scambio di emoticons su Whatsapp per lo spaccio di droga). In relazione alla gran quantità di informazioni che i social media veicolano, gli organi di polizia devono modificare strutturalmente il loro modo di operare, adattandolo alla nuova realtà, passando da un controllo del territorio essenzialmente fisico, ad un controllo del territorio integrato che preveda lo screening anche di quel mondo parallelo.

PATTUGLIARE IL WEB

Alle tradizionali attività di pattugliamento, pedinamento, osservazione a fini di indagine, da effettuarsi sul territorio fisico, si deve affiancare da una parte il controllo delle interazioni che i soggetti indagati hanno tramite i social media, insieme al controllo dei contenuti che questo tipo di utenti immette su internet, dall’altra l’analisi delle immagini di videosorveglianza, effettuata tramite software di video content analysis, capaci di procedere automaticamente alla ricerca di determinate immagini nel complesso di quelle registrate, oppure di individuare determinati eventi dal punto di vista spaziale e temporale. Sul primo punto alcune tecniche derivate da tecniche di indagine sociale ed economica, come la data analysis, sembrano essere particolarmente promettenti. Nel contempo, al classico criminal profiling che individuava le caratteristiche del criminale grazie agli indizi lasciati sulla scena del crimine, si deve sostituire un’analisi più o meno massiccia di profili, dati e messaggi inseriti sui social media, spesso proprio da chi il crimine ha commesso. Sul tema della video content analysis effettuata in via automatica spesso queste attività, almeno in Italia, risultano in contrasto con la normativa sulla privacy, che in modo spesso parossistico ed assurdo inibisce attività che invece porterebbero un contributo determinante alla sicurezza cittadina. È dunque necessario, da parte degli organi di polizia, avere una visione unitaria di questa miniera di informazioni, seguire rigorosi criteri di analisi e, prima di tutto, avere una formazione specifica, finalizzata ad analizzare con capacità di intelligence le informazioni provenienti da varie fonti e di varie tipologie, fra cui:

• dati provenienti da archivi pubblici ad accesso riservato (esempio: archivio comunale dell’anagrafe e dello stato civile, archivi della sanità, archivi degli uffici della motorizzazione, ecc.), che contengono sia informazioni testuali che immagini (esempio: la foto tessera di chi ha chiesto il rilascio di una carta di identità);

• dati ed altri contenuti provenienti da internet, e di libero accesso;

• dati, messaggi e altri contenuti provenienti in particolare dai social media;

• dati ed immagini provenienti da sistemi di videosorveglianza pubblici, di varia tipologia (vero e proprio sistema di videosorveglianza, varchi delle zone a traffico limitato, stazioni di controllo della velocità, impianti a presidio di corsie riservate, impianti di controllo dei passaggi con semaforo rosso, sistemi di controllo targhe e transiti, ecc.), recuperate tramite gli strumenti della video analysis.

Purtroppo mancano piattaforme software che possano effettuare in modo automatico l’accesso contemporaneo a tutti questi sistemi, con il recupero complessivo delle informazioni correlate ad un determinato elemento (esempio: si fornisce la targa di un veicolo, o il nome di una persona, e si vogliono trovare tutte le informazioni e tutti i record di ogni data base che contengono quella targa o quel nome) e dunque si deve procedere separatamente, con una notevole dote di pazienza e la capacità di saper correlare in modo efficace informazioni eterogenee.

NON SOLO VIDEOSORVEGLIANZA

Certamente ormai tutte le indagini, anche quelle su fatti anche non gravi, come i danneggiamenti, possono ricevere un notevole impulso non solo dagli strumenti di videosorveglianza, ma anche da quei software che utilizzano algoritmi che catturano determinate frasi e parole su Twitter, Facebook, Instagram, e così via, parole o frasi correlate all’evento sul quale si sta indagando. La nuova frontiera per gli organi di polizia passa dunque per internet e in particolare per i social media, ed è una gestione sinergica di attività di indagine molto variegate: quelle che oggi si definiscono OSINT (Open Source INTelligence, attività di raccolta di informazioni mediante la consultazione di fonti di pubblico accesso), con strumenti di data mining;

• quelle di ricerca su database provenienti da fonti ad accesso riservato e differenziato;

• l’uso di software di social media surveillance;

• l’uso di software di video analysis, che utilizzino riprese video automaticamente attivate da dati biometrici o dal moving object detection in determinate aree;

• le osservazioni dirette sul territorio; il tutto utilizzando le tecniche della social analysis.

Grazie a questo nuovo modo di lavorare sarà enormemente più rapido arrivare agli autori di un reato con questa metodica, piuttosto che procedere tramite lunghi appostamenti e dispendiose ricerche sul campo.  

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