mercoledì, 24 aprile 2024

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Alla scoperta della Città Gemella (digitale)

16/01/2023

di Alessandro Bove - Ricercatore di tecnica e pianificazione urbanistica, Università di Padova 

La questione dell’alfabetizzazione digitale, oltre alla necessità di renderci abili nell’utilizzo degli strumenti digitali, pone anche un problema di conoscenza delle terminologie e dei contenuti che caratterizzano questa nostra epoca. Un primo problema che si pone è legato al fatto che, alcune volte, ci sono dei termini tecnici che sono dei veri e propri neologismi, parole create ad hoc per descrivere un nuovo fenomeno o una nuova tecnologia, mentre altre volte si utilizzano delle parole esistenti che, coniugate rigorosamente in inglese, richiamano concetti innovativi i quali, se sono immediatamente chiari per gli addetti del settore, non sempre vengono compresi con la stessa facilità dai non addetti ai lavori. Tra questi un esempio è quello della parola metaverso e quello della locuzione città gemella (digitale) o, in inglese, (digital) twin city.

Metaverso è effettivamente un neologismo, ideato da uno scrittore di nome Neal Stephenson nel 1992. Il metaverso è una estensione del mondo reale nel virtuale, ovvero una simulazione e uno specchio del mondo reale. Il metaverso consente alle persone di avere interazioni in tempo reale, seppur a distanza, attraverso un’esperienza immersiva che consente nuove opportunità sia di business che nell’intrattenimento in un mondo virtuale gestito da persone reali. Tale caratterizzazione offre un insieme infinito di possibilità in quanto consente di rompere le barriere spazio temporali, ma anche finanziarie. Allo stesso tempo, attraverso il metaverso è possibile sviluppare l’interoperabilità tra molteplici piattaforme, visualizzare informazioni tra diverse sorgenti per creare un ecosistema cooperativo allocato in uno spazio virtuale. Con quali vantaggi? 

Metaverso, croce e delizia

I vantaggi sono molteplici perché attraverso il metaverso possiamo spostare la nostra realtà in una dimensione virtuale all’interno della quale sviluppare attività che possono successivamente ritornare ad essere realtà (processo di simulazione) o svolgere la propria attività in un mondo altro, consentendoci, attraverso lo sviluppo del web 3.0, di abilitare un sistema decentralizzato di relazioni. Le esperienze in tal senso sono state molteplici, spaziando dalle cyber towns (1995), alle digital twins (2002), a Second Life (2003), ai Bitcoin ed alla blockchain (2009), attraverso Pokémon Go (2016) fino al primo concerto sul metaverso (2020) e all’apertura del primo negozio virtuale H&M (2022). Uno sviluppo tra gioco e realtà, tra voglia di evadere dai propri confini fino alla creazione di nuove forme monetarie che, con il recente crack di FTX, hanno riportato la realtà virtuale alla dimensione (purtroppo) reale del crack finanziario.

Digital twin cities

Le (digital) twin cities quindi sono una esperienza che lega la realtà virtuale rappresentata dal metaverso con la realtà fisica della città. Si tratta pertanto della riproduzione tridimensionale di una città all’interno della dimensione virtuale. Nascono come uno strumento utile a comprendere come gestire i sistemi urbani per raggiungere soluzioni efficienti in grado di integrare molteplici informazioni provenienti dai molti sistemi complessi che costituiscono la città. In questa maniera è possibile supportare il processo decisionale, soprattutto cercando di perseguire le scelte migliori in tutti i settori che coinvolgono la sostenibilità (economica, ambientale e sociale). Allo stesso tempo il sistema interconnesso di ambiente costruito e ambiente virtuale può stimolare una più forte collaborazione pubblico-privato per affrontare i problemi di gestione dello spazio urbano pubblico, semi-privato e privato. 

Building Information Modelling

Un esempio di utilizzo di questo tipo di tecnologia è il BIM (Building Information Modelling), un metodo per la digitalizzazione dell’edilizia il cui fulcro è la virtualizzazione dell’edificio con tutte le informazioni necessarie alla sua gestione. dalla culla alla tomba. Una sorta quindi di sostituto immateriale dei cari e vecchi modellini che hanno da sempre caratterizzato l’attività progettuale di urbanisti, ingegneri ed architetti. Questo passaggio della città al virtuale potrebbe consentire degli sviluppi affascinanti, grazie all’intelligenza artificiale, per analizzare i dati provenienti da una molteplicità di sensori capaci di catturare ogni piccola variazione, quindi  in tempo reale adattare le scelte a questi cambiamenti,rivoluzionando il modo di progettare le città e di gestirla. 

Serve interoperabilità

Un percorso, questo, però ancora molto lungo a causa dei problemi legati alla raccolta dei dati, che necessariamente devono essere tanti (big data), precisi e sempre aggiornati, oltre che riferiti a tutti gli aspetti che caratterizzano il funzionamento di una città (dal meteo, al traffico, ai consumi, ecc.). Allo stesso tempo i programmi disponibili sono ancora bisognosi di sviluppo e manca l’interoperabilità di quelli esistenti per gestire questi dati ed informazioni. Ad esempio, se oggi il BIM è diventato una prassi diffusa ed obbligatoria nella progettazione edilizia ed infrastrutturale pubblica, la molteplicità di programmi presenti sul mercato ne limita l’applicabilità proprio a causa della mancanza di interoperabilità. C’è pertanto una lunga strada da percorrere (e sono già passati 20 anni dal lancio delle digital twin cities!) per consentire la reale applicabilità di queste visioni, ma, soprattutto, per adattare la nostra città a cambiamenti così veloci. Forse perché la città, come la conosciamo noi, è sempre stata smart ed essere anche digital twin richiede una maturazione che non siamo ancora pronti ad affrontare per un sistema così complesso.



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