venerdì, 19 aprile 2024

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La dichiarazione di conformità, altra illustre sconosciuta (parte II)

16/11/2022

di Giovanni Villarosa - Laureato in Scienze dell’Intelligence e della Sicurezza, esperto di Sicurezza Fisica per Infrastrutture, CSO e DPO, membro del comitato tecnico-scientifico del CESPIS, Centro Studi Prevenzione, Investigazione e Sicurezza

Continuiamo con un tema tutt’altro che pacifico, ossia modi, tempi e obbligatorietà del rilascio della dichiarazione di conformità. Nel precedente numero il nostro Giovanni Villarosa aveva illustrato come il rilascio della dichiarazione di conformità anzitempo, ossia senza aver concluso la realizzazione delle opere, costituisca reato di falsa dichiarazione in atto pubblico. Procediamo in questa sede nella disamina delle responsabilità dell’installatore.

L’installatore professionista, rilasciando una falsa dichiarazione consuma un atto di rilevanza penale previsto all’art. 481 C.P. - “falsità ideologica commessa da persona esercente un servizio di pubblica necessità”. Cosa debba intendersi per servizio di pubblica necessità esercitato dal professionista è scritto nell’art. 359 C.P. Sul punto, giova osservare come l’oggetto materiale del reato di falsità ideologica sia rappresentato da tutti quei documenti che la giurisprudenza ha puntualmente definito “quasi pubblici”, quale chiarimento della particolare tutela riconosciuta a questi atti, trattandosi di documentazione rilasciata da privati che esercitano professioni specializzate, sulle quali è richiesta una particolare abilitazione da parte dello Stato, ovvero, se della loro prestazione professionale il pubblico è vincolato a valersi dalla Legge. Appare chiaro, pertanto, come la funzione certificativa attribuita ad un privato costituisca un servizio di pubblica necessità ex lege, trattandosi, infatti, di un esercizio di natura privata svolto dal privato installatore, ma che deve possedere però tutti quei requisiti tecnico-professionali vincolati alla norma di Legge. Peraltro, il contenuto dell’art. 8 del D.M., stabilisce che “il committente è tenuto ad affidare i lavori di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione straordinaria degli impianti ad imprese abilitate”.

La funzione di garanzia

Ma oltre a ciò, la Di.Co ha un’ulteriore funzione, quella di garantire “a terzi” che i lavori siano stati realizzati secondo la regola d’arte, ma soprattutto che i materiali utilizzati siano rispondenti alla vincolante “regola”, per non dover rispondere anche del reato previsto all’art. 515 C.P. (“Frode nell’esercizio del commercio”), fattispecie configurabile quando la falsità della dichiarazione sia relativa ai materiali utilizzati. La dimostrazione verso terzi, ricordiamolo, è in ossequio al contenuto dell’art. 9 del D.M., quando si parla dell’attestazione di agibilità, dove: “il certificato di agibilità è rilasciato dalle autorità competenti previa acquisizione della dichiarazione di conformità di cui all’art. 7, nonché del certificato di collaudo degli impianti installati, ove previsto dalle norme vigenti”. Un principio previsto espressamente nel decreto, che obbliga poi gli organi della P.A. a poter rilasciare l’atto di idoneità alla “abitabilità/agibilità” solamente quando acquisirà la Di.Co, contestualmente al certificato di collaudo degli impianti installati, laddove previsto. Ma il professionista è sempre obbligato al rilascio dell’atto di certificazione?

Quando non sussiste l’obbligo

In circostanze del tutto eccezionali il professionista non è obbligato al rilascio della dichiarazione di conformità e non commette l’illecito previsto all’art. 7 del D.M.: è stata la giurisprudenza a dissipare questo dubbio. Nel caso in cui il committente si rifiuta, senza motivata ragione, di onorare il pattuito, allora l’impresa può legittimamente rifiutarsi di rilasciargli la dichiarazione di conformità. Un principio, questo, affermato in una sentenza emessa dal Giudice del Tribunale di Lodi nell’agosto 2016, che recita: …“l’appaltatore ha portato a completamento l’opera materiale commissionatagli ed appare pertanto giustificato il mancato rilascio delle dichiarazioni di conformità degli impianti realizzati, tenuto conto del previo e più grave inadempimento imputabile al committente”…Un pronunciamento emesso seguendo il solco tracciato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 8906/2013: …”se il committente rifiuta ingiustificatamente di pagare il residuo corrispettivo, l’appaltatore può legittimamente rifiutare di consegnargli la restante parte dell’opera”…

In sintesi

Concludiamo sintetizzando i contenuti del presente e del precedente articolo in materia: 

• la dichiarazione di conformità “Di.Co” è una documentazione obbligatoria rilasciata da un professionista abilitato, dopo l’installazione o la manutenzione degli impianti; 

• va rilasciata esclusivamente solo dopo aver eseguito tutte le verifiche previste dalla normativa vigente, comprese quelle di funzionalità dell’impianto;

• dal momento del rilascio dell’atto, il professionista si assume la responsabilità, civile nel caso di danno a cose e, sotto il profilo penale, nei casi di falsa attestazione degli atti e di danno alle persone, dell’impianto realizzato (art. 359 Persone esercenti un servizio di pubblica necessità, art. 434 Disastro colposo, art. 449 Incendio colposo, art. 451 Omissione colposa di cautele/difese, art. 481 Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, art. 483 Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, art. 515 Frode nell’esercizio del commercio, art. 589 Omicidio colposo, art. 590 Lesioni colpose);

• il professionista descrive la realizzazione e le tecniche installative, garantendone la regola d’arte e la conformità a tutti gli obblighi di legge. 

• in linea generale l’impresa non può mai rifiutarsi di consegnare le dichiarazioni di conformità, salvo il caso in cui il cliente, senza motivo legittimo, ometta di pagare il corrispettivo all’impresa.



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