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La dichiarazione di conformità, altra illustre sconosciuta (parte I)

10/10/2022

di Giovanni Villarosa - Laureato in Scienze dell’Intelligence e della Sicurezza, esperto di Sicurezza Fisica per Infrastrutture, CSO e DPO,membro del comitato tecnico-scientifico del CESPIS, Centro Studi Prevenzione, Investigazione e Sicurezza

Dopo il lungo excursus sul non sempre lineare (neanche a livello normativo) rispetto della regola dell’arte, che ha coperto gli ultimi tre numeri, affrontiamo un altro tema tutt’altro che piano, ossia il rilascio della dichiarazione di conformità. Il nostro validissimo autore parte dalle origini, ossia dalla norma, tecnica e non, che ha portato alla Di.Co.

La definizione più efficace di Norma tecnica, elaborata dagli enti normativi europei, la troviamo nella Norma CEI/UNI/EN 45020:1996, ovvero: “per Norma si intende un documento, prodotto mediante consenso e approvato da un organismo riconosciuto, che fornisce, per usi comuni e ripetuti, regole, linee guida o caratteristiche relative a determinate attività o ai loro risultati, al fine di ottenere il miglior ordine in un determinato contesto”. Il panorama nazionale sulla normativa tecnica attualmente disponibile nel settore degli impianti elettrici ed elettronici è piuttosto ampio e diversificato, ma non tutta la normazione sin qui prodotta presenta la stessa valenza.

Volontarie o con forza di legge

Ad esempio, ci sono norme tecniche volontarie che vengono esclusivamente inserite nei capitolati e nei contratti di appalto (CEI, UNI, etc), che qualsiasi professionista dovrà rispettare per esclusiva garanzia contrattuale. Viceversa, un particolare gruppo di specie è rappresentato, ad esempio, dalle norme tecniche (CEI, UNI, EN) che, seppur sempre a caratterizzazione volontaria, una volta assorbite nei dispositivi di legge o in quei decreti che regolamentano particolari tematiche tecniche, da quel momento assumono “forza di Legge”. Infine troviamo le norme di tipologia settoriale, elaborate il più delle volte da associazioni di categoria: esso sono sostanzialmente di natura volontaristica, a meno che non siano parte integrante di un contratto.

Un po’ di storia

Nel mezzo secolo trascorso, diverse normative tecniche sono state l’oggetto di supporto per la composizione di numerose Leggi e Decreti, con l’obiettivo di renderle maggiormente efficaci nel panorama operativo e sociale.  Il primo riferimento assoluto di Legge che dà forza giuridica alle Norme CEI, è rappresentato dalla Legge n° 186/1968 sulle “Disposizioni concernenti la produzione di materiali, apparecchiature, macchinari, installazioni ed impianti elettrici ed elettronici”, meglio conosciuta come Regola dell’Arte.

Poi negli anni successivi, a seguito di vari recepimenti di Direttive europee, si è avuto un ulteriore riconoscimento giuridico della normativa tecnica, con il riferimento dato dalla  Legge n° 46/1990 sulle “Norme per la sicurezza degli impianti”, che introduce diverse novità, tra cui l’obbligo di rispondenza alla Legge 186, gli ambiti di applicazione, i soggetti abilitati, i requisiti professionali, la certificazione di conformità per gli impianti realizzati, in ogni settore. Legge ulteriormente modificata dal Decreto ministeriale n° 37/2008 (D.M.), sul “Riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici”, un provvedimento fondato sulle basi normative riprese dalla 46/90 e ampliate nello stesso, quale naturale evoluzione giuridica della Legge 46, ma con l’obiettivo di riordinare tutte le disposizioni relative all’installazione degli impianti tecnologici all’interno degli edifici. 

Le novità del DM 37/2008

Vi sono infatti introdotte alcune importanti differenziazioni, quali, ad esempio, i requisiti per la progettazione degli impianti, che a differenza della vecchia 46/90 vengono normati in maniera più specifica, precisando meglio le peculiari competenze tecniche richieste ai professionisti installatori. Uno dei punti salienti del Decreto è rappresentato dall’art. 7, che introduce una novità certificativa, oltre alla già prevista Di.Co. della legge 46, denominata “Dichiarazione di Rispondenza” Di.Ri, quale ulteriore strumento certificativo utilizzabile solamente in via esclusiva.  A tal riguardo, mentre la Di.Co è obbligatoria per i nuovi impianti, la Di.Ri è essenzialmente un controllo che attesta, o nega, la corrispondenza dell’impianto ai requisiti normativi. Parliamo dunque di una procedura straordinaria, che si deve applicare solamente ai così detti impianti “orfani” della certificazione Di.Co. non più reperibile, ma realizzati prima dell’entrata in vigore del D.M. 37.

A proposito di dichiarazione di conformità

Sulla scorta di quanto detto, ricordiamo ai professionisti “sbadati” che la “Dichiarazione di Conformità” rappresenta un documento certificativo, ovvero una reale asseverazione, e dunque, un’attestazione pubblica con valore giuridico. Pertanto l’installatore che, ad esempio, rilasci a la Di.Co. prima di aver terminato l’impianto, o assicuri la regola dell’arte ad un impianto che non lo sia realmente, dichiarerà pubblicamente il falso e potrà risponderne ai sensi dell’art. 481 del Codice Penale sulla “Falsità ideologica commessa da persone esercenti un servizio di pubblica utilità”, come anche dell’art. 483 C.P. sulla “Falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico”.

Serve un esempio?

Per chiarire meglio questi concetti, soccorre una sentenza emessa dal Tribunale di Savona nel novembre 1998, dove si contesta ad un professionista il reato di cui agli artt. 81, 481 e 61 C.P. Perché “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di commettere i reati di cui ai capi 2 e 3, quale soggetto abilitato ai sensi dell’art. 2 della legge n° 46/1990 all’installazione di impianti ed al rilascio delle relative dichiarazioni di conformità, aveva falsamente attestato:

“a) che la data nella quale aveva verificato (collaudo) e certificato che gli impianti degli appartamenti degli immobili siti in ...omissis… fossero conformi alla regola dell’arte, era il giugno ed il luglio 1993, predisponendo a tal fine le dichiarazioni di conformità datate 10-6-1993 per l’immobile …omissis… e 6-7-1993 per l’immobile …omissis… , mentre tali controlli (collaudo) di conformità venivano in realtà svolti solo successivamente e precisamente nel corso del 1994…

b) che gli impianti degli appartamenti predetti erano conformi alla “regola dell’arte.”

Ciò posto, premesso che l’art. 9 della legge n. 46/1990 obbliga l’impresa installatrice ad emettere solo al termine dei lavori la c.d. “dichiarazione di conformità”, le acquisizioni dibattimentali hanno evidenziato la falsità delle date relative alle dichiarazioni di conformità rilasciate dall’odierno imputato con riferimento agli impianti ubicati nel …omissis… ”

Anche riconoscendo la regola dell’arte da parte del collegio giudicante, il giudice ha comunque confermato che rilasciare la dichiarazione di conformità anzitempo e senza aver concluso la realizzazione delle opere, è reato di falsa dichiarazione in atto pubblico.



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