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W la Privacy

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Tecniche di realtà virtuale, occorre cautela sul trattamento dei dati personali

08/07/2022

Dalla riabilitazione in ambito giudiziario agli interventi chirurgici: la realtà virtuale trova sempre più applicazioni concrete. Sta rivoluzionando l'intera filiera produttiva e commerciale e anche quella della erogazione di servizi tradizionalmente affidati alla pubblica amministrazione come scuola ed educazione e anche sanità. Ma la strada inizia a essere un percorso a ostacoli: bisogna andare cauti e rispettare la privacy delle persone, e redigere, prima di iniziare qualsiasi progetto, una valutazione di impatto sui dati.

Per esempio, la realtà virtuale rieduca il condannato e diventa parte integrante del trattamento penitenziario. Indossando un visore si fa vivere al detenuto la paura che ha vissuto la vittima quale fase del programma di riduzione delle recidive. Oppure si crea davanti agli occhi l'ambiente ideale per fare attività fisica e attenuare focolai di tensione carceraria. Sono queste alcuni casi concreti delle tecniche di virtual reality, che stanno prendendo piede a livello globale. Ecco alcune applicazioni e i risvolti legati al rispetto dei dati personali.

Realtà virtuale. Con il termine realtà virtuale (Rv) si intende una situazione simulata mediante uso di computer e dispositivo. Tale situazione è percepita allo stesso modo della realtà fisica e, quindi, con una immersione totale della persona nella simulazione. Nella pratica occorre indossare un visore, che proietta le immagini che prendono il posto dell'ambiente fisico reale. Come è stato efficacemente descritto "la realtà virtuale coincide con una dimensione digitale che si sostituisce integralmente al mondo reale e in questa dimensione la persona vive un'esperienza in un mondo creato al computer, abbandonando qualsiasi contatto con la realtà vera. Indossando un visore si è catapultati in un mondo interamente digitale, dove è possibile interagire con un ambiente tridimensionale.

La realtà che abitualmente ci circonda non viene più percepita e togliendo il visore si ha una sensazione simile al risveglio da un sogno. Tutti i sistemi di realtà virtuale, in sostanza, permettono alla persona di visualizzare immagini tridimensionali, percepiti a grandezza naturale, e di muoversi all'interno di quella realtà virtuale.

Da delinquenti a vittime. Nell'ambito penitenziario, una tecnica di Rv consiste nel far provare ai delinquenti esperienze delle vittime nella realtà virtuale. Alcune esperienze hanno mostrato che queste tecniche possono avere risultati significativi nei reati violenti. Negli studi è stata utilizzata la realtà virtuale immersiva per indurre un'illusione che consente ai trasgressori, per esempio, di essere nel corpo di una vittima di abusi domestici. Agli autori di reati di violenza domestica si sono fatte vivere scene virtuali di abuso nei panni delle vittime. Le capacità di riconoscimento delle emozioni dei partecipanti sono state valutate prima e dopo l'esperienza virtuale. E la ricerca ha dimostrato che i trasgressori, dopo avere vissuto l'esperienza di Rv, hanno migliorato la loro capacità di riconoscere la paura nei volti femminili, riducendo la mistificazione dell'interpretazione di volti atterriti come felici. La Rv può consentire, quindi, cambiare la prospettiva di una popolazione aggressiva, modificando processi socio-percettivi come il riconoscimento delle emozioni, ritenuto essere alla base di comportamenti aggressivi.

Altre applicazioni nell'ambito dei servizi di giustizia. Ci sono esperienze di applicazione al trattamento e alla riabilitazione degli autori di reati a sfondo sessuale (autori di violenze sessuali, crimini di pedofilia, colpevoli di condotte di stalker). L'approccio è di carattere terapeutico in connessione con la funzione rieducativa della pena. Il trattamento tradizionale degli autori di reati a sfondo sessuale prevede l'uso di tecniche psicodinamiche e cognitivo-comportamentali. L'Università di Cincinnati (Ohio), riferisce idego.it, ha cominciato a utilizzare tecniche di realtà virtuale per il trattamento di giovani autori di reati sessuali, arrivando alla conclusione che la Rv può accelerare i tempi della riabilitazione, offrendo un ambiente sicuro e protetto ai pazienti. Un altro studio, riferito ad autori di reati di pedofilia, ha studiato le aree cerebrali che si attivano alla vista di bambini e producono le risposte fisiologiche nel pedofilo e di renderlo capace di autocontrollarsi dinanzi allo stimolo sessuale virtuale (rappresentazioni tridimensionali di bambini). Attraverso esperienze di Rv, il soggetto è immerso in un simulacro di realtà caratterizzato da realismo. Dalla identificazione tra persona e avatar della Rv deriva la maggiore introiezione delle esperienze vissute durante le sessioni di Rv. Le ricerche riferiscono che gli stimoli virtuali sono sufficienti a innescare risposte neuronali e fisiologiche nei sex offender, affiancandosi a più tradizionali forme di trattamento (terapie di gruppo, sedute psicologiche).

L'uso della virtual reality nel trattamento dei sex offender rende possibile l'approfondimento dell'indagine del funzionamento cerebrale e fisiologico di queste persone, la personalizzazione degli interventi riabilitativi, la valutazione degli effetti del trattamento.

Terapie anti-violenza in Svezia. Il servizio penitenziario e di libertà vigilata svedese ha sperimentato terapie di Rv come metodo di trattamento per i trasgressori con problemi di aggressività. L'idea è che i detenuti imparino a gestire i loro impulsi aggressivi nel mondo virtuale tridimensionale che si presenta negli occhiali Rv.

In Turchia progetti anti-droga. Un progetto condotto in Turchia ha applicato la realtà virtuale a programmi di riabilitazione dalla droga per giovani delinquenti in libertà vigilata: «VR for Drug Rehabilitation» ha avuto lo scopo di sviluppare e testare un programma di trattamento farmacologico utilizzando la tecnologia avanzata di realtà virtuale in una popolazione di giovani autori di reati sotto supervisione della libertà vigilata.

In Italia si fa ginnastica in cella. Esempi di applicazione della realtà virtuale nel campo dei servizi di giustizia ci sono anche in Italia. In un caso, ai detenuti viene dato un visore e questi, indossatolo, posson fare in cella esercizio fisico e allenamento. L'obiettivo è di ridurre la tensione negli ambienti carcerari e di far calare anche le recidive. L'esperienza italiana si colloca sulla scia di una analoga statunitense, denominata Virtual Rehab, destinata al trattamento penitenziario di autori di violenze domestiche, reati sessuali e crimini sui più deboli.

Il rispetto della privacy. Tutti i sistemi di realtà virtuale implicano un trattamento di dati personali. E la tecnologia deve fare allinearsi alle regole giuridiche di garanzie per le persone. Altrimenti si oscilla tra il rischio di lavaggio del cervello e quello di un taglione seppure elettronico.

I trattamenti con sistemi di realtà virtuale devono fare i conti con gli adempimenti previsti dal regolamento Ue 2016/679 e, nell'ambito dei servizi di giustizia, con la direttiva Ue 2016/680 e, in Italia, con il decreto legislativo 51/2018.

I sistemi consentono, in effetti, di raccogliere una quantità enorme di dati sugli individui che ne fanno uso e di stilare di questi ultimi uno o più profili soggettivi e comportamentali. Le potenzialità invasive sono enormi così come i possibili abusi e le eventuali discriminazioni.

Deve, quindi, essere messo subito in chiaro chi è il titolare del trattamento, quale finalità persegue e su quali basi giuridiche. Si tratta, inoltre, di sistemi che, qualunque sia l'applicazione, necessitano di una valutazione di impatto privacy, nella quale dettagliare le misure a protezione delle persone a riguardo dell'utilizzo dei dati raccolti mediante gli apparati di Rv.

(Articolo di Antonio Ciccia Messina)



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