ROMA – L'estate del 2017 è stata caratterizzata, oltre che dalle elevate temperature, anche da una lunga serie di incendi gravi avvenuti nei depositi di stoccaggio dei rifiuti, nelle discariche o ex discariche, nei capannoni che dovrebbero avviare i rifiuti al ciclo dello smaltimento. Il record si è avuto in Sicilia, con undici eventi, seguita dalla Campania con nove, e dal Lazio con sette, di cui cinque solo nell’area metropolitana di Roma.
A pagare il conto di questi episodi sono i cittadini. La dinamica è semplice ed è stata spiegata da Roberto Pennisi, magistrato della Dda, specializzato in crimini ambientali: “Le imprese che trattano rifiuti hanno interesse ad acquisirne il più possibile, perché più acquisiscono, più aumentano gli introiti. Ma siccome trattarli - cioè avviarli al ciclo dei rifiuti - costa, per evitare di toccare questi rifiuti tante volte arriva il benedetto fuoco. Quello che brucia va in fumo e il fumo non si tocca più”.
Anche i tanti episodi di autocombustioni, ritiene la Dda, possono essere “un segnale di una gestione illegale”. Non di rado il fuoco scatta perché interessi criminali vogliono acquisire fondi per le bonifiche ambientali. Quello che è certo – lo ha osservato Claudia Mannino, deputata ex grillina che ha censito questi roghi di rifiuti – è che mai bruciano cartiere o industrie del vetro, bensì sempre discariche con plastiche, rifiuti industriali, amianto, batterie, tutti rifiuti molto costosi da trattare.
Mannino proporrà di introdurre nella legge di stabilità un emendamento che impone, alle aziende, o alle prefetture, di installare sistemi di videosorveglianza di tutti i siti di stoccaggio di rifiuti, per una maggiore sicurezza e per evitare che questi crimini avvengano così di frequente.
La politica non ha varato fino ad ora un provvedimento del genere, che è invece importante e urgente. Il Ministero dell’ambiente ha però garantito che valuterà la proposta con attenzione.
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