venerdì, 29 marzo 2024

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Cassazione, la privacy prevale tra condomino e portiere

11/04/2017

ROMA - Il reato di "trattamento illecito di dati” (art. 167 d.lgs. n. 196/2003) punisce colui che procede al trattamento di dati personali, «al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno". E’ necessario, però, che dal fatto derivi un effettivo danno. Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15221/17 depositata il 28 marzo scorso.

Un condomino, già in rapporti molto tesi col portiere, lo denunciava per lesioni nei propri confronti. Finiva però, per esser lui stesso il condannato, ad un anno ed otto mesi di reclusione. Egli, infatti, aveva agito in violazione dell’art. 167 d.lgs. n. 196/2003, rubricato “trattamento illecito di dati”, in quanto aveva affisso un foglio nella bacheca condominiale nel quale si riferiva del procedimento pendente ai danni del portiere.

Avverso la condanna il condomino proponeva ricorso in Cassazione, lamentando l’erronea applicazione della legge penale e sostenendo l’assenza di "effettivo nocumento" ai danni del portiere, sia in relazione alla sua identità personale, che alla privacy. Il trattamento illecito dei dati giudiziari. Il ricorso è infondato, secondo la Corte di Cassazione.

L’articolo succitato punisce la condotta di colui che procede al trattamento di dati personali, "al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno", "sempre che dal fatto derivi un nocumento". Nel caso di specie si tratta di dati giudiziari, il cui trattamento costituisce reato quando è in violazione dell’art. 27, che così dispone: il trattamento ad opera di privati o enti pubblici economici "è consentito soltanto se autorizzato da espressa disposizione di legge o provvedimento del Garante che specifichino le rilevanti finalità di interesse pubblico del trattamento, i tipi di dati trattati e di operazioni eseguibili".

La Corte di Cassazione, però, spiega come il nocumento di cui si discute, che è condizione obiettiva di punibilità ovvero elemento costitutivo del reato, va inteso come "pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, subito dalla persona alla quale si riferiscono i dati o le informazioni protetti […], ma anche da terzi quale conseguenza dell’illecito".

La diffusione di quelle informazioni ha avuto l’effetto di accreditare al portiere "manchevolezza nell’assolvimento dei suoi compiti", nonché di ledere la reputazione e la professionalità dello stesso sul posto di lavoro. Il ricorso viene dunque bollato come infondato.

Articolo a cura di Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy


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www.federprivacy.it



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