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La sicurezza urbana integrata passa dal tavolo del Prefetto

01/03/2018

di Stefano Manzelli - Consulente enti locali e forze dell’ordine. http://sicurezzaurbanaintegrata.it/

Con l’approvazione del pacchetto sicurezza, il governo ha aperto la strada ad un’inedita modalità di collaborazione tra forze di polizia dello stato e polizia locale, da realizzarsi attraverso un uso condiviso e regolato delle informazioni e delle tecnologie. Solo mettendo in stretta relazione gli operatori, e tutte le dotazioni preposte in qualche modo alla gestione della sicurezza delle città, sarà infatti possibile aumentare il contrasto dell’illegalità e dell’insicurezza. E’ questo lo spirito della riforma introdotta con il DL 14/2017, convertito nella legge n. 48/2017.

La novella innesta nell’ordinamento un concetto molto semplice, ma di difficile realizzazione. La sicurezza urbana deve necessariamente essere gestita da tutti gli operatori di polizia, nel rispetto delle diverse prerogative, mettendo al centro delle scelte e delle strategie da adottare sul territorio il rappresentante governativo. Spetterà al Prefetto raccordare le diverse esigenze delle forze di polizia dello stato e dei carabinieri con quelle dei sindaci e della polizia locale. Strumenti come gli impianti di videosorveglianza comunale, le dotazioni radio per l’emergenza e tutte le tecnologie di cui possono disporre i comuni, devono essere resi disponibili in maniera regolata a tutti i soggetti pubblici deputati al controllo del territorio e delle città. Con il decreto Minniti è stato quindi formulato il concetto di sicurezza urbana integrata, ovvero quello della necessaria condivisione strategica delle azioni di contrasto dei reati.

SICUREZZA URBANA INTEGRATA

Il cuore di questo importante provvedimento è rappresentato dalla necessità di mettere in circolazione le informazioni e le tecnologie tra tutte le forze di polizia, nel rispetto delle diverse prerogative. Quindi, anche se la polizia locale non è ancora abilitata ad occuparsi di criminalità a tutto tondo, saranno le sue tecnologie all’avanguardia, come per esempio i varchi lettura targhe cittadini di ultima generazione, a fornire un utile supporto a carabinieri, guardia di finanza e polizia di stato per il contrasto delle rapine e dei reati contro le persone e il patrimonio. Specialmente se il sistema sarà attivamente collegato con il sistema Scntt del Viminale dei veicoli rubati e interconnesso a livello provinciale per garantire una conservazione allungata dei dati a finalità di polizia giudiziaria. Mentre infatti per la polizia locale la conservazione delle targhe per una settimana può essere considerata soddisfacente, per le normali attività sanzionatorie stradali e di polizia amministrativa le indagini per una rapina o un reato più grave possono richiedere mesi di verifiche. Ed in questo caso sarà necessario salvaguardare le diverse titolarità del trattamento dei dati in capo al comune e alla prefettura. Servirà dunque un accordo scritto per regolare i rapporti interforze. E risulterà strategico che il rappresentante governativo sappia declinare al meglio le opportunità di condivisione delle tecnologie presenti sul territorio in funzione delle reali esigenze delle diverse forze di polizia. In pratica: al tavolo prefettizio dovranno essere prese sempre più decisioni strategiche su come fare sicurezza, con chi e con quali opportunità tecnologiche. Dopo un necessario esame dei fabbisogni strategici della zona, infatti, sarà opportuno interessare immediatamente il rappresentante governativo per agevolarne il coordinamento di ogni azione di interesse pubblico, con potenziali ricadute sull’attività di polizia.

UN ESEMPIO

Prendiamo per esempio un comune di medie dimensioni già dotato di un discreto impianto di videosorveglianza urbana. Sicuramente, anche se le dotazioni tecnologiche non risulteranno obsolete, ci sarà la necessità di potenziare gli impianti, per esempio con varchi lettura targhe in grado di identificare i veicoli rubati, non assicurati e non revisionati. L’uso condiviso di questi strumenti nel rispetto delle diverse prerogative degli organi di polizia, significa permettere ai comuni di continuare ad utilizzare i sistemi per effettuare ad esempio attività sanzionatoria stradale e sicurezza urbana. Ma significa anche permettere alle forze dell’ordine di conservare i dati sui transiti dei veicoli per un periodo superiore ai sette giorni previsti per legge per i comuni, su un proprio server separato dove all’occorrenza potranno essere effettuate attività di indagine particolari in deroga ad alcuni dei limiti imposti dal codice privacy. E poi sarà opportuno anche collegare l’impianto cittadino con il sistema centrale nazionale targhe e transiti di Napoli per la ricerca dei veicoli rubati. Ovvero alimentare la banca dati del Viminale su tutti i transiti ottenendo però in cambio l’allarme locale in caso di passaggio di un veicolo rubato. Perlomeno per mettere in sicurezza anche gli agenti di polizia locale, che essendo attualmente impossibilitati a consultare il ced del Ministero dell’interno sui criminali, rischiano quotidianamente di fermare soggetti pericolosi, magari armati, per contestar loro una banale violazione stradale.

RAZIONALIZZAZIONE CERCASI

Mettere in condizione di poter operare tutti gli operatori in divisa del territorio, nel rispetto delle diverse prerogative, significa quindi rispettare le diverse inclinazioni dei carabinieri, della polizia di stato e della polizia locale. Ma salvaguardare anche gli interessi politico-amministrativi degli enti locali interessati a dare risposte concrete ai cittadini. Siccome infatti gli impianti di videosorveglianza sono costantemente finanziati dai comuni, eventualmente con il contributo di qualche privato, è chiaro che l’amministrazione locale non ha alcun interesse a privarsi dell’uso parziale e verificato dei suoi strumenti. In alcune realtà, invece, per evitare la complessità derivanti dalla necessità di regolare compiutamente le attività delle diverse forze di polizia, alcuni sindaci hanno preferito trasferire completamente gli impianti in capo alle questure. In questo modo gli impianti sono ad uso esclusivo delle forze di polizia dello stato, ma non possono essere utilizzate in alcun modo dalla polizia locale, per esempio per effettuare attività di controllo stradale. E’ evidente che, a fronte di apparenti benefici immediati in termini di trattamento dei dati personali e responsabilità connesse, questa scelta non risulta però particolarmente innovativa né appagante per le amministrazioni comunali. Perlomeno per quelle città che intendono partecipare attivamente al nuovo concetto di sicurezza urbana integrata. Ovvero ad un’azione concentrica di scambio informativo e potenziamento dell’attività di contrasto dell’azione criminale mettendo in condizione tutti gli operatori in divisa di svolgere al meglio il proprio ruolo. Non lasciando ad esempio la polizia locale all’oscuro dei pericoli nei quali può incorrere fermando un veicolo rubato, ma ammettendo tutti gli operatori di vigilanza ad una condivisione degli strumenti e delle finalità previste dal pacchetto sicurezza. E per questo serve necessariamente l’avvallo della prefettura, che potrà aiutare le nuove dinamiche sostenendo protocolli, convenzioni e accordi particolari e progetti da definire volta per volta sul singolo territorio.



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