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Europei di calcio e droni: no fly zones, “sottrazione temporanea” e privacy

03/11/2016

di Fabrizio Cugia di Sant'Orsola, Studio Cugia Cuomo e Associati www.cugiacuomo.it

In seguito degli attacchi terroristici dello scorso novembre, le Autorità francesi hanno decretato una serie di no-fly zones su tutti i dieci stadi interessati dai campionati europei di calcio, estendendo poi il divieto di passaggio dei droni anche ai campi di allenamento delle 24 squadre nazionali coinvolte nel torneo. “Oltre alle camere, i droni possono benissimo trasportare ordigni d’ogni genere” - hanno spiegato, argomento sufficientemente caldo e persuadente per scongiurare qualsivoglia apertura di dibattito. Ma se l’uomo è davvero la somma delle sue conoscenze, come amava ripetere Benedetto Croce, allora per certo nel nostro scibile non dimorano le implicazioni portate dalla rivoluzione dei droni. Per intanto il loro moltiplicarsi ha introdotto una nuova limitazione di spazio, delimitando a macchia di leopardo le aree urbane antropizzate a seconda di direttive applicabili in tempo reale. Come se tante piccole Coree del Nord si avvicendassero su Google Maps, scomparendo all’area di volo secondo dettami immediati e inappellabili.

Per la verità il capo sicurezza transalpino Ziad Khoury ha anche alluso ad altro, spiegando che la misura della no-fly zone è stata ritenuta la misura minima adottabile, alludendo quindi anche all’adozione di misure protettive automatizzate. In effetti, per le loro caratteristiche difficilmente identificabili, i droni si prestano male ai rilevamenti e sono difficilmente intercettabili (se non con sistemi similari opposti) divenendo percepibili solo a ridosso degli stessi obiettivi. Tra le misure protettive devono quindi immaginarsi i “droni a sciame” (“swarm drones”) usati in genere nella videosorveglianza e nella gestione del territorio. Si può ipotizzare qualche sciame più o meno attivo e a riposo che ronza imperterrito a copertura dell’area da proteggere, dotato di rilevatori e sistemi anti-drone embedded operati a distanza e in sicurezza rispetto agli ignari spettatori. Una star-wars in miniatura che potrebbe svolgersi a pochi passi dalle teste ignare, tutte concentrate su ben altro. La regolamentazione fatica a tenere il passo della tecnologia, come noto. Il Regolamento dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (“Enac”) del 2013, poi riformato nel 2015, si preoccupa di stabilire la dicotomia tra aeromodello e “Mezzi Aerei a Pilotaggio Remoto” (APR; ossia i droni), immaginando un mondo dove le due categorie non si toccheranno mai. La cosa è curiosa se vista dal punto di vista della sicurezza, tenendo a mente che anche un aeromodello potrebbe benissimo portare armi embedded e recare danni, ed operare quindi tuttavia indisturbato in costanza di un divieto che prendesse di mira i soli droni.

REGOLAMENTO ENAC

In materia di privacy, il Regolamento rinvia agli obblighi generali del Codice Privacy in materia di rispetto del diritto alla riservatezza degli interessati, stabilendo che coloro che devono effettuare operazioni specializzate critiche (quale il sorvolo su agglomerati urbani o zone dove possono trovarsi persone) devono indicare le modalità di trattamento dei dati e le finalità di relativa gestione sin dalla fase di richiesta dell’autorizzazione all’ENAC. In tal senso appare chiaro che ogni titolare di drone che operi per finalità specializzate sia tenuto alla notifica predetta, dal momento che per aree congestionate ed antropizzate devono intendersi le aree o agglomerati usati come zone residenziali, industriali, commerciali, sportive, e in generale aree dove si possono avere assembramenti, anche temporanei di persone (ossia, di fatto, la totalità dei territori abitabili o antropizzati). Ma anche qui ogni obbligo privacy cessa per l’ENAC laddove si operi tramite un “aeromodello”. Il Regolamento identifica l’aeromodello in un dispositivo aereo a pilotaggio remoto, senza persone a bordo, impiegato esclusivamente per scopi ricreativi e sportivi che vola sotto il controllo visivo diretto e costante dell’aeromodellista, senza l’ausilio di aiuti visivi. Sugli “scopi sportivi” richiesti per identificare il mezzo viene in mente, non senza qualche cortocircuito, il saluto consueto dato dai telecronisti all’inizio delle partite di calcio in TV (“buonasera cari amici sportivi, ecc..”) che assomma in un unicum-calderone il telespettatore con lo sportivo vero e proprio. Far volare un drone da spettatore fa rientrare il mezzo tra gli aeromodelli? La scriminante tra le due categorie è, infatti, da un lato, la finalità del volo (specialistica contro la “ricreativa e sportiva”), dall’altro l’esistenza o meno di aiuti visivi, che si suppongono debbano esistere nel drone e non nell’aeromodello. In merito al primo aspetto, il Regolamento ENAC definisce infatti il drone-APR come un mezzo aereo a pilotaggio remoto senza persone a bordo, non utilizzato per fini ricreativi e sportivi. Il che non ci aiuta, naturalmente, tenendo presente che, come noto, esistono droni-giocattolo, dotati peraltro di videocamere embedded e connessi in tempo reale in streaming, con sollazzo delle testate di gossip per la messa in onda subitanea e in cloud di ogni caduta di stile dei VIP. Ed ai fini della certezza dei diritti dei videosorvegliati - innanzitutto i diritti privacy - si suppone che competa all’interessato doversi sincerare se il drone che lo riprende stia lì per “scopi specialistici” oppure per diletto sportivo? E l’attività promiscua, ad es. l’attività di videosorveglianza, dove cadrebbe? Una cosa è se l’uso di apparecchi droni faccia parte, ad es, di strumentazione nel quadro di un appalto di servizi di sicurezza (dove i droni utilizzati evidentemente sorvolerebbero o coprirebbero l’area interessata per finalità specifiche del contratto specialistico), altra cosa è se il mezzo viene utilizzato dallo stesso proprietario del bene videosorvegliato. Dove sarebbe l’attività e finalità professionale in tal senso? I dati raccolti e registrati da tale proprietario dovrebbero esser conosciuti? Deve essere resa una informativa all’interessato (ad es. vicino del lotto)?

VIDEOSORVEGLIARE CON I DRONI

Laconicamente il Garante dei Dati Personali nostrano stabilisce che, nei casi di attività di videosorveglianza tramite droni, è necessario “rendere un’informativa, seppur minima, ai soggetti che verranno ripresi”, informandoli della presenza di telecamere attraverso l’indicazione del trattamento e le finalità perseguite. Tale informativa dovrebbe esser resa su supporti ben visibili (tipo cartelli) e rimandare ad una più dettagliata, magari inserita sul sito web del titolare del trattamento. Il che cozza sia con le finalità della videosorveglianza di sicurezza, sia con la realtà parcellizzata dell’uso dei droni nel campo della sicurezza o per altri mezzi, per non dire degli aeromodelli per diporto. Ormai il Gruppo Privacy Europeo “Articolo 29” parla apertamente del bisogno di identificare regole privacy “by design” o “by default” per i droni, ossia di valutare accuratamente l’impatto sul diritto alla privacy e alla protezione dei dati personali degli individui e di inserire nelle confezioni tutte le informazioni concernenti la potenziale intrusività che l’utilizzo di un drone può avere nella vita degli individui, unitamente alla necessità del rispetto della regolamentazione in materia di privacy e protezione dei dati personali. La strada però è ancora lunga. Per certo si sa soltanto che i piloti di droni costituiscono titolari del trattamento di dati personali, con ogni obbligo che ne consegue, primo tra tutti la limitazione di uso dei dati. Il punto sarà capire come uniformare il sistema in un quadro omogeneo e proporzionato, atto a garantire la certezza dei diritti di tutte le parti coinvolte.



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