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Una sola certificazione per tutta Europa: a light at the end of the tunnel?

24/10/2013

di Ilaria Garaffoni


Mercato Europa: quello che dovrebbe essere il nostro mercato interno anche se spesso ce ne dimentichiamo. Gran parte della colpa è delle istituzioni italiane che non sostengono le nostre imprese all'estero, ma è anche colpa di un'Europa capace di esprimere solo ragioneria di Stato, procedure di infrazione e ammonimenti tanti ovvi quanto inutili. Un'Europa ancora assai lontana dall'avere una linea politica unitaria capace di guidare i suoi 28 paesi in maniera coerente.

Il tema del mercato Europa era al centro di un talk show condotto da Ilaria Garaffoni (Editor-in-Chief del magazine a&s Italy) in seno a Security Solutions Show il 5 ottobre 2013. Il panel istituzionale era composto da Enrico De Altin (delegato del Presidente Franco Dischi per Assosicurezza), Enzo Peduzzi (Vice Presidente di Euralarm) e Rosario Romano (Presidente di ANIE Sicurezza).

Il tema del mercato Europa è stato affrontato in prima battuta sotto il profilo della competitività, o meglio di come l'industria della sicurezza possa recuperare competitività non sul piano dei volumi, dove la battaglia è stata ormai persa da tempo, ma sul piano dell'innovazione, quindi della personalizzazione, della qualità e della soluzione.

Il tema si legava poi  indissolubilmente alla questione dell'internazionalizzazione.
Un argomento ormai estremamente sensibile, dal momento che tutti gli indicatori provenienti dal mercato collocano in posizione prioritaria la necessità di predisporre adeguate azioni istituzionali e finanziarie per coadiuvare le imprese italiane nell'avvio dei processi di internazionalizzazione.

Un dato che non sorprende, visto che - secondo ANIE Sicurezza - nel primo semestre 2013 il canale estero ha in parte compensato la debolezza degli investimenti registrata sul territorio nazionale. “Nonostante una lieve flessione, il settore sta sostanzialmente tenendo. Anzi, rileviamo una leggera ripresa - nella misura di decimali di punto e comunque tutta da verificare - nel secondo semestre del 2013” - ha dichiarato Rosario Romano.

Ma se il mercato interno ha mostrato una leggera flessione nel primo trimestre, l'export è invece cresciuto. Gli operatori della sicurezza si sono orientati in prevalenza verso mercati vicini al baricentro europeo, come l'Europa dell'Est e il Nord Africa. Stando alle rilevazioni di a&s Italy, Francia, Germania, Portogallo e Spagna sono i paesi europei più gettonati per tentare l'export di made in Italy di sicurezza. Si contano invece su due manile aziende che hanno tentato la via dell'export extraeuropeo: “parliamo di aziende che si sono orientate su segmenti ad altissima specializzazione ed expertise - nicchie hi tech con volumi troppo bassi per interessare i colossi del Far East”- specifica Romano.


E tuttavia, il processo di internazionalizzazione non è affatto semplice: più spesso è proibitivo.
Assosicurezza ha enucleato le principali difficoltà nell'aggredire i mercati esteri: dalla frammentazione delle normative, che non consentono una standardizzazione nemmeno all’interno dell’UE, ai costi sperequativi delle certificazioni locali, che richiedono tempi lunghi e risorse dedicate insostenibili; dalla ristrettezza dei fondi di sostegno italiani rispetto a quelli dei competitor europei, all'insufficienza delle iniziative istituzionali messe in campo per l'export e al loro difficile accesso, soprattutto per le aziende poco dimensionate. E infine la mancanza di un trader che affianchi un network di imprese pilota rappresentative della filiera. “Ma questo problema nasce dal noto individualismo italiano” - ha concluso Enrico De Altin.

Nelrapporto annuale sulla competitività appena rilasciato, la Commissione europea ha del resto scritto che l'Italia sta attraversando una vera deindustrializzazione e che per risollevarsi deve puntare su innovazione e internazionalizzazione, per questo la “riforma della governance del sistema di internazionalizzazione può rivelarsi una tappa cruciale per la competitività dell'Italia".

Benissimo: ma cosa fa l'Europa per aiutare i suoi paesi membri a competere, oltre a bacchettarci e dirci cose che già sappiamo, e cioè che dobbiamo innovare ed esportare di più? 
Se all'interno del mercato unico dell'UE “persone, merci, servizi e denaro circolano con la stessa libertà con cui si muovono all'interno di un singolo paese, senza essere ostacolati da confini o barriere nazionali”, come mai varcare la soglia del confine italiano è così difficile?

“Il quadro che è stato tratteggiato corrisponde purtroppo alla verità” - risponde Enzo Peduzzi, Vicepresidente di Euralarm. “In Europa non c'è un mercato unico: ci sono 28 mercati diversi”.

La bella notizia è che il problema, con riferimento all'industria della sicurezza europea, è stato rilevato e quindi formalizzato dall'Industrial Security Policy Communication pubblicata lo scorso anno dalla Commissione Europea. In quel documento si legge che il mercato della sicurezza europea ha grandi potenzialità e una forte spinta all'innovazione, ma per assicurare la sua leadership e per rafforzare la sua competitività nel mercato globale, occorre porre in essere delle urgenti iniziative per superare l'attuale frammentazione, tramite l'armonizzazione di standard e certificazioni. Il documento parla di studiare nuovi modelli di finanziamento atti a favorire la ricerca e lo sviluppo tecnologico, di accrescere l'accettazione delle tecnologie di sicurezza con l'introduzione del concetto di "privacy by design" a partire dallo stesso sviluppo tecnologico e di incentivare le sinergie tra ricerca e sviluppo nel settore sicurezza privata e nei dipartimenti della difesa. Questo documento “rappresenta un raro caso di indirizzo di politiche industriali a livello europeo, ossia di una discussione sugli standard che arriva al livello politico” - prosegue Peduzzi – “e segna quindi un importante passo avanti nella filosofia propugnata da Euralarm del one-stop testing, one-stop certification”.

La Commissione europea sul tema ha anche lanciato una consultazione pubblica, alla quale hanno risposto oltre 170 aziende della sicurezza - di cui 15 dall'Italia, a testimoniare l'attualità dell'argomento. Alla domanda “quali problemi comporta l'assenza di una certificazione unica?”, il 90% degli interpellati ha risposto che rallenta (spesso impedisce) l'introduzione di nuovi prodotti sul mercato perché i costi di una pletorica ripetizione di test e certificazioni nazionali e i lunghi tempi di rilascio incidono assai negativamente, sia in termini finanziari sia di dispendio energetico, sulla ricerca e sullo sviluppo delle aziende. Si parla di 20 - 30 milioni di euro all'anno bruciati in certificazioni e sottratti all'area R&D. Per non parlare dei costi del marketing e della commercializzazione multilingua, come pure dell'evitabile ripetizione del training del personale.
E quando finalmente si arriva al traguardo delle 28 certificazioni, il prodotto certificato è ormai ampiamente bypassato dalle release 2.0, 3.0, 4.0 e magari obsoleto.

Cosa si può dunque fare?
Le strade paiono due: o si emana una direttiva europea che di fatto imponga agli stati una certificazione unica (tema sul quale Euralarm si batte da tempo), oppure – utilizzando una metodologia per certi versi più moderna - si lavora sugli standard e su una “norma quadro” nella quale far confluire degli standard condivisi.
Entrambe le strade richiedono però tempi lunghi di implementazione, anche se per la prima ipotesi i tempi sono forse maturi per fare azione di lobbying sui parlamentari europei, dal momento che la Commissione Europea dovrà elaborare un decreto che dovrà a sua volta passare al vaglio del Parlamento Europeo. E poiché in Europa è tempo di elezioni, sarebbe proprio il momento giusto per tirare giacchette europee e cercare sostegni e alleanze, vista la precarietà della situazione politica sul fronte nazionale.

Ma qualcosa si muove anche in Italia.

È stato infatti aggiornato il Fondo 394/81 per l'internazionalizzazione con ladestinazione alle PMI di una riserva di risorse pari al 70% annuo e ne sono stati ampliati i beneficiari (ora possono eccedere al finanziamento anche le aggregazioni di imprese). Sono infine state ridotte le garanzie da prestare all'accesso, aprendo potenzialmente le porte ad un ventaglio più ampio di beneficiari.

Inoltre sono stati istituiti dei consorzi per l’internazionalizzazione, la cui mission è indirizzata a sviluppare nuove forme di internazionalizzazione, formazione e promozione del Made in Italy nel mondo, anche attraverso contratti di rete con piccole e medie imprese non consorziate.
Poi ci sono i contributi del Ministero dello sviluppo economico (il bando per progetti di promozione all’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese realizzati da Associazioni, Enti, Istituti, Camere di Commercio italo-estere è scaduto a fine settembre). L’agevolazione, a fondo perduto, non superava il 50% delle spese sostenute ritenute ammissibili, ma non è certo da buttar via.

 

Insomma, qualcosa si muove, seppure lentamente e limitatamente.

Anche a livello europeo esistono fonti di finanziamento per l'R&D e per il commercio estero nelle PMI della sicurezza, perché non solo il mercato italiano della sicurezza è intessuto di piccole imprese, ma l'intera industry europea della sicurezza: “anche se accedere a questi fondi è più facile se ci si presenta in rete” - specifica Peduzzi.
E sul tema del network, la domanda di Romano è sorta spontanea: “ma come possiamo essere ascoltati in Europa se non siamo uniti nemmeno a livello di associazioni nazionali di categoria?”

Pronta la replica di De Altin: “c'è già stato un avvicinamento. Ne è testimone la presenza di entrambe le associazioni a questo talk show.Chissà che non sia proprio questacrisi a porre le premesse per un'apertura sempre più ampia”.

 



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