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Disastri e calamità naturali: il ruolo delle tecnologie di sicurezza

25/03/2024

di Annalisa Coviello

Frane, alluvioni, esondazioni, terremoti, erosioni del suolo, e ancora siccità e naturalmente questioni sanitarie di ampia portata come le pandemie: è un elenco (non esaustivo) dei molteplici eventi infausti che rientrano nella definizione di calamità naturali e che possono mettere in ginocchio un paese e un’economia. Ma si possono prevenire? E le tecnologie di sicurezza fisica possono dare una mano? 

Fa paura vedere il Belpaese colorato di rosso scuro, quasi bordeaux, nella mappa che riporta quelli che, in inglese, vengono definiti come “disaster risk”, cioè le calamità naturali di varia natura: frane, alluvioni, esondazioni, terremoti, erosioni del suolo, siccità e via dicendo.

Il grafico è stato desunto da uno studio del Disaster Risk Management Knowledge Centre (DRMKC) del Joint Research Centre (JRC) della Commissione Europea, che ha il compito di esaminare le vulnerabilità dei vari Stati membri dell’Unione ai disastri naturali e di studiare, attraverso un calcolo di svariati parametri di natura scientifica e tecnica, le possibili evoluzioni. Inoltre, il JSR ha un laboratorio a Ispra, nei pressi di Varese, dove è possibile la gestione in real time delle situazioni di crisi causate da tutti i disastri naturali. 

Un approccio olistico 

Perché, per fortuna, gli scienziati hanno cambiato approccio nella gestione dei disastri, passando da un approccio reattivo, legato cioè alla singola catastrofe, a uno proattivo, che comprende lo studio dei rischi di potenziali disastri, per arrivare a un sistema olistico, di una “vulnerabilità” del territorio multidimensionale, che comprende gli aspetti ambientali e fisici, così come quelli economici, sociali e politici. E l’Italia ha problemi in tutti i campi. Il territorio di per sé vulnerabile, ed una gestione dissennata dello stesso, negli anni hanno provocato catastrofi che si sarebbero potute evitare. E’ vero, e lo dicono non solo gli ambientalisti, ma tutti gli esperti, che certi fenomeni “estremi” sono causati dal cambiamento climatico. Ma, anche in questo caso, non occorre scomodare divinità capricciose o influssi astrali “contro”: di chi è la principale colpa lo sappiamo tutti, compreso chi fa finta di non saperlo e, magari, ricopre proprio quei ruoli apicali che consentirebbero delle scelte, se non ottime, almeno più adeguate al contesto ambientale. Per questo gli scienziati e i tecnici hanno stabilito di prendere in considerazione, tra i diversi parametri, anche due componenti, che sono definite rispettivamente “indipendente dal pericolo”, dovuta, cioè, essenzialmente all’azione dell’uomo e “dipendente direttamente dal pericolo”, legata, cioè, ai soli eventi naturali. E’ ovvio, però, che spesso i due aspetti si legano indissolubilmente: ad esempio, il terremoto dell’Irpinia del 1980, una delle catastrofi più difficili da prevedere, avrebbe provocato molte meno vittime se le abitazioni fossero state più resistenti…il Giappone insegna: lì da millenni si verificano terremoti che, da tempo, non sono più così catastrofici come in altre parti del mondo. 

Il modello Giappone

Solo un paio di dati: è dal 1958 che i bambini, nelle scuole, frequentano dei corsi dedicati proprio alle emergenze e, negli anni tra il 1950 e il 1960, il Governo nipponico, che peraltro doveva affrontare tutti i disagi del dopoguerra, investiva il 7% del budget nazionale per la riduzione dei rischi sismici. Proprio in quegli anni, fra l’altro, sono iniziati i lavori a Tokyo per un sistema di tunnel a 22 metri di profondità dove si potessero incanalare gli eccessi d’acqua dovuti a tifoni, piogge estreme e tsunami, che, come abbiamo ormai purtroppo imparato tutti, sono l’altra devastante conseguenza dei terremoti. Oggi, i nuovi edifici in Giappone sono rigorosamente antisismici, ma l’evoluzione tecnologica ha consentito, tramite, ad esempio, l’utilizzo delle fibre di carbonio, di mettere in sicurezza anche gli edifici storici, come i templi. Un esempio che un paese come l’Italia, ricchissimo di tesori artistici, dovrebbe seguire quanto prima…Addirittura, grazie proprio ai nuovi sistemi di comunicazione, esistono degli allarmi che sfruttano i pochi secondi tra le onde P e quelle S di un terremoto (le ultime sono quelle che causano i danni…) per avvisare le persone di mettersi al riparo, tramite avvisi acustici trasmessi via altoparlanti, televisione ma anche APP.

Un’Italia fragile 

In ogni modo, tornando ai dati, lo studio del JSR ci dice che l’Italia, insieme a Bulgaria, Romania e Grecia, è il paese più vulnerabile ai disastri naturali. Un aspetto che ci dovrebbe far riflettere è che negli altri 3 Stati la situazione sembra in miglioramento, mentre noi siamo definiti “stabili nel tempo”, una ben triste connotazione, se si considera che il periodo “coperto” dallo studio va dal 2005 al 2035. Altro particolare poco simpatico è che in tutto il continente la Regione più fragile è la Calabria con la provincia di Reggio in testa. Peraltro, gli italiani sono preoccupati dalle catastrofi naturali. Lo dice un rapporto di Legambiente, che riferisce anche alcuni dati allarmanti. Nei primi 6 mesi del 2023, ad esempio, gli eventi estremi sono stati 122, in aumento del 135% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Gli allagamenti sono stati i più frequenti e le regioni più colpite Emilia Romagna, Sicilia, Piemonte, Lazio, Lombardia e Toscana. 

Monitorare per prevenire

E’ quindi indispensabile prevenire e monitorare, dove possibile. Nel caso delle frane, ad esempio, ci sono aree in cui il controllo è già attivo e prolungato nel tempo. Ma un discorso simile si può fare per le alluvioni. Ad esempio, l’uso dell’intelligenza artificiale consente di realizzare una specie di “territorio virtuale”, con tutte le caratteristiche di quello reale, dove si possono fare le prove e le verifiche per avere uno “specchio” sempre aggiornato e in tempo reale, prevenendo quindi, nella realtà, le conseguenze peggiori. Inoltre, l’utilizzo di sensori che misurano i livelli dei corsi d’acqua o i movimenti franosi e delle tecnologie satellitari che monitorano i movimenti dei fronti di pioggia possono contribuire a ridurre l’impatto di una catastrofe in una determinata area. Molto semplificato, un po’ come succede a Venezia con l’acqua alta da quando è stato installato il sistema MOSE. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che gli eventi estremi non solo causano vittime e devastazione di edifici anche storici, ma sono un costo che sta diventando sempre più elevato e difficilmente sostenibile, nella situazione attuale in cui si trovano la maggioranza degli Stati o Regioni che ne sono colpiti.

Il costo dei disastri

Se si guarda il grafico che segue, elaborato dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, si capisce immediatamente come gli eventi estremi abbiano causato danni economici sempre più elevati. Tra il 1980 e il 2022, gli estremi meteorologici e climatici hanno causato perdite economiche stimate in 650 miliardi di euro negli Stati membri dell’UE, di cui 59,4 miliardi di euro nel 2021 e 52,3 miliardi di euro nel 2022. I rischi idrologici (inondazioni) rappresentano quasi il 43% e i rischi meteorologici (tempeste, compresi fulmini e grandine) circa il 29% del totale. Ci sono poi le ondate di caldo, che causano circa il 20% delle perdite totali, mentre il restante si deve a siccità, incendi boschivi e ondate di freddo.

Simulare per prevenire

Le devastazioni causate dai disastri naturali in tutto il mondo dimostrano la necessità dell’adozione di strategie di mitigazione del rischio, che vanno da una migliore gestione degli eventi disastrosi a sistemi di allerta che migliorino la famosa “resilienza”, in questo caso sia di persone che di territori. 

E poi, come abbiamo accennato, la tecnologia può svolgere un ruolo fondamentale, soprattutto a livello di prevenzione. L’intelligenza artificiale, e in particolare il machine learning, uniti con l’analisi dei dati, aiutano a ricreare dei modelli utili per evitare determinate calamità, come, ad esempio, quelle legate all’acqua. In pratica, utilizzando i dati storici e quelli ambientali e climatici si può prevedere il comportamento di un terreno, o di un corso d’acqua, di fronte a determinati eventi meteorologici, consentendo così alle autorità competenti di intervenire prima che il disastro si verifichi o, comunque, di contenere i danni a persone e cose. Abbiamo già detto che l‘evento meno prevedibile e, spesso, più catastrofico di tutti è il terremoto. Eppure, oggi, si possono simulare anche i disastri sismici, con modelli che già vengono impiegati nella gestione delle “smart cities”. I sensori sparsi per la città possono fornire dati sugli edifici più vulnerabili e un modello 3D realizzato con appositi software riesce a simulare cosa può succedere se si verificano eventi estremi quali, appunto, i terremoti o le inondazioni. 

La security per la prevenzione dei disastri

Non sempre si considera, o non lo si fa abbastanza, che tutti i sistemi di sicurezza fisica, come le apparecchiature di sorveglianza, le barriere di protezione, l’illuminazione, gli allarmi e via dicendo possono, anzi, devono essere impiegati anche nel settore della gestione dei disastri. Prendiamo una catastrofe, non naturale ma sanitaria, che abbiamo sperimentato tutti di recente: il Covid 19. I sistemi di controllo accessi, le termocamere, i dispositivi contactless, i contapersone hanno contribuito in maniera determinante alla nostra sicurezza. Non c’è dubbio che, implementando una solida infrastruttura di sicurezza, i danni alla proprietà e alle persone possono essere drasticamente ridotti. E non solo. Un aspetto da non sottovalutare è quello della formazione, della preparazione ad affrontare un disastro. Nei primi tempi del Covid, per tornare a una tragedia che abbiamo bene in mente, il nostro personale sanitario ha affrontato il virus a mani nude, o quasi. Se, invece, ci fosse un’adeguata formazione non solo degli addetti alla sicurezza “per legge”, ma di tutti, saremmo sicuramente più in grado di adottare, almeno, dei comportamenti adeguati in caso di calamità naturale. Intanto, proprio all’inizio di quest’anno, è stato approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici: speriamo che a qualcosa serva e che qualcosa insegni. Perché, ormai, non tutte le catastrofi sono proprio imprevedibili e se continuiamo a piangere vittime e danni, forse la colpa non è solo del caso.

La versione integrale dell’articolo riporta tabelle, box o figure, per visualizzarle apri il pdf allegato. 

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