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Aspettando la ripresa: il controllo elettronico degli accessi

22/07/2012

La redazione

Come va in Italia il mercato del controllo accessi professionale? Dopo un 2009 da dimenticare (-6,68% rispetto all’anno precedente secondo la nostra indagine sulle prime quindici aziende italiane del settore), nel 2010 è andata un po’ meglio ma sempre in caduta (-2,74%). Un anno dopo, siamo tornati a spulciare i bilanci per fotografare l’andamento di questo importante segmento della sicurezza in tempo di crisi. Il quadro che se ne ricava non è confortante. I produttori soffrono anche se, tra molte ombre, si intravede qualche barlume di speranza. A patire di più sono ancora una volta le microimprese (alcune delle quali hanno registrato un vero e proprio crollo del fatturato), mentre – diversififi cando - tengono e in alcuni casi migliorano i big del settore.

“Adda passà ‘a nuttata”. Possono bastare queste tre parole, pronunciate nel terzo atto della celebre commedia “Napoli milionaria” di Eduardo De Filippo, per descrivere il clima che sta vivendo in questo periodo il mercato del controllo accessi professionale made in Italy e non solo. Il medico condotto, dopo aver dato la medicina alla febbricitante Rituccia, si mostra fiducioso sul decorso della malattia ma avverte i genitori che bisognerà attendere qualche ora prima di annunciare lo scampato pericolo per la creatura. Deve passare la nottata. E la notte non è ancora passata per i produttori del settore accessi. Un anno dopo la nostra indagine sulle aziende più significative che operano sul mercato italiano (la top 15 di a&s Italy), siamo tornati ad analizzare i bilanci delle stesse società.

Il quadro che se ne ricava non è confortante. Dopo un 2009 in profondo rosso (-6,68% rispetto all’anno precedente), nel 2010 è andata un po’ meglio ma sempre in flessione (-2,74%). A patire di più sono ancora una volta le microimprese (alcune delle quali hanno registrato un vero e proprio crollo del fatturato) mentre, reinventandosi e diversificando, tengono e in alcuni casi migliorano i big del settore. Nonostante il perdurare della crisi economica, tuttavia, l’industria è vitale e per niente scoraggiata, pronta a cogliere i primi segni della ripresa economica per ricominciare. Preoccupazione tanta, disperazione mai. Sullo fondo, insomma, aleggia un pizzico di sano ottimismo, proprio come quello che si può cogliere nella famosa frase di Eduardo. Anche la notte più buia e cupa, prima o poi finirà.

Fatturato ancora in caduta

Lasciamo stare le metafore e diamo la parola alle cifre. Il valore totale della produzione realizzato dalla top 15 di a&s Italy al 31 dicembre 2010 è stato di poco superiore a 66,5 milioni di euro, dei quali il 98,6% costituito dalle vendite di beni e servizi e il restante 1,4% da altri ricavi e proventi. A causa dei soliti lifting, ristrutturazioni e alchimie contabili che alcune aziende (in verità poche) hanno il vezzo di fare quando le cose vanno male (o troppo bene), il volume d’affari è frutto di una nostra valutazione, ma la stima può essere considerata attendibile. Confrontando il fatturato 2010 con il risultato registrato dalla stessa top 15 nell’esercizio precedente, la flessio ne è evidente e ancora una volta significativa: -2,74%. Il mercato del controllo accessi, insomma, continua la sua discesa sebbene meno ripida del 2009 quando, dopo un decennio di costante crescita, era precipitato nel burrone con un vistoso calo del 6,68%. Tirando le somme, in soli tre esercizi la top 15 ha diminuito il volume dei propri ricavi in prodotti e prestazioni di circa il 9% bruciando oltre 6,5 milioni di euro. Il nostro campione d’indagine, è bene ricordarlo, comprende quindici aziende leader in Italia.

Tre di queste non raggiungono il milione di euro di fatturato, otto hanno un giro d’affari compreso tra uno e cinque milioni mentre le restanti quattro realizzano ricavi superiori a cinque milioni di euro. Nel 2010, ben 12 aziende su 15 (l’80%) hanno venduto meno dell’anno precedente. Degli 11 operatori micro e piccoli, solo uno si è salvato (+10,86%) mentre i restanti dieci hanno registrato un calo. Più nel dettaglio: per sei di loro la diminuzione è stata a due cifre percentuali mentre per uno (ahimè) si è trattato di un vero e proprio tonfo (-39,68%). Se a soffrire di più sono come al solito le piccole realtà manifatturiere, le “grandi” non brillano certo per i risultati raggiunti. Diciamo che in parte sono riuscite a rallentare la caduta e in parte a invertire la direzione di marcia recuperando sul 2009. Ancora una volta i budget non sono stati rispettati. La domanda interna è ferma: la recessione avanza, i soldi mancano, la paura cresce. La committenza (compresa quella di grandi dimensioni) è poco propensa a intraprendere nuovi investimenti. Per razionalizzare gli sforzi e non disperdere tempo ed energie, gli operatori hanno indirizzato le loro azioni commerciali soprattutto sul proprio parco clienti proponendo modifiche e migliorie, aggiornamenti tecnologici e nuovi servizi di assistenza.

Export?

L’export in Italia tira ancora ma le aziende del settore accessi, salvo qualche eccezione, non hanno sbocchi significativi verso i mercati d’Oltralpe. Almeno questo si desume leggendo le note integrative allegate ai bilanci: per nessuna impresa le esportazioni sembrano aver giocato un ruolo decisivo. Non si tratta di mancanza di coraggio e scarsa intraprendenza. Spesso le soluzioni made in Italy, nate per soddisfare le esigenze tipiche dell’utente italiano, sono troppo “intelligenti”, potenti, flessibili, scalabili, veri gioielli tecnologici frutto della genialità (e della burocrazia) italica, ma difficili da piazzare all’estero. Fuori dai confini, il modo di intendere il controllo accessi e la rilevazione delle presenze, infatti, è molto più semplice, meno condizionato da leggi e regolamenti aziendali. Per contro, però, questa è anche la nostra fortuna. Le soluzioni importate fanno più fatica ad affermarsi nel mercato professionale di casa nostra e quando ci riescono hanno quasi sempre bisogno di una buona dose di personalizzazione.

Crollano gli utili

Leggendo le carte, la voce “utili (perdite) di esercizio” è quella che desta maggiori preoccupazioni. Solo due aziende sulle quindici del nostro panel hanno registrato un margine (seppur contenuto) di guadagno; tutte le altre hanno chiuso il bilancio 2010 in passivo. L’utile al netto delle imposte è in forte discesa da diversi anni. Nel 2008 (l’ultimo esercizio in cui molti bilanci si sono chiusi con segno positivo), il calo era stato del 35% rispetto all’anno precedente. Nel 2009 era andata peggio: - 93% (con nove aziende in perdita su 15). I dati del 2010 lasciano l’amaro in bocca: se quattro anni fa per ogni euro di fatturato si ricavavano appena cinque centesimi netti, ora la situazione si è capovolta e per ogni euro si perde circa un centesimo e mezzo. Il quadro è preoccupante in quanto il bilancio della maggior parte delle imprese ha il segno meno da più di tre esercizi con la conseguenza che tutte le riserve (o quasi) hanno subito un tracollo per compensare le perdite.

Cosa ne sarà poi di alcuni operatori che hanno ormai dimezzato il fatturato in pochi anni, riempito i magazzini di semilavorati e prodotti finiti (da vendere a chi?), azzerato le riserve e il fondo finanziamento soci? Ma i guai non vengono mai da soli. Le imprese, oggi più che mai, devono anche fare i conti con il ritardo degli incassi, non solo con quelli cronici della pubblica amministrazione. L’allungamento dei tempi di pagamento riduce la liquidità (con tutto quel che ne consegue) e costringe le aziende a dedicare ulteriori risorse nel recupero dei crediti maturati. E, come se non bastasse, mentre imperversa la crisi e le imprese dovrebbero dedicare tempo ed energie per tirarsene fuori, sono costrette a misurarsi con il crescente numero di adempimenti burocratici i quali, oltre ad essere spesso complicati (se non inutili), cambiano di continuo regole e scadenze. Ore e ore di lavoro perse davanti al PC per imparare, interpretare, scaricare, compilare, controllare, elaborare, firmare, trasmettere... per poi scoprire, il giorno dopo, che l’adempimento è stato rinviato e forse sarà modificato.

Personale, ma quanto mi costi?

Non tutto scende nella nostra top 15. Se il valore del fatturato è in calo da un triennio, nello stesso periodo il costo del lavoro (tra salari, stipendi, oneri sociali e TFR) è in costante crescita. Nonostante il minore numero di ore di straordinario e il ricorso alla cassa integrazione (forse per la prima volta nel settore), la spesa che le imprese sostengono per il proprio personale continua a lievitare (e non sempre questo incremento si traduce in più quattrini nella busta paga dei lavoratori). Nell’anno 2010, l’aumento medio del costo del lavoro registrato nella top 15 di a&s Italy è stato del 2,08% rispetto all’anno precedente. Non è poco. Solo tre aziende su 15 hanno realizzato economie significative nella gestione del personale, mentre nelle restanti dodici l’incremento oscilla tra un minimo (fisiologico) di +0,6% e un picco massimo del +46,8% (anche se, in questo caso specifico, l’impennata è dovuta a nuove assunzioni).

La variazione di questa voce è sempre frutto di effetti contrapposti: da un lato l’aumento dell’organico e l’incremento del costo medio degli stipendi dovuto a scatti di anzianità e adeguamenti contrattuali, dall’altro le dimissioni, il taglio delle ore di lavoro straordinario e i benefici derivanti dal ricorso alla cassa integrazione. Anche nel 2010, quindi, il costo del lavoro ha rappresentato il capitolo più importante delle uscite: oltre 26 milioni euro. Cifra che, se raffrontata al giro d’affari, pesa in media per oltre il 40%. Alcune aziende non forniscono dati sul proprio organico alla chiusura dei bilanci annuali. Secondo le nostre stime, tuttavia, nel 2010 il numero dei dipendenti (considerando il turnover limitato) è rimasto sostanzialmente stabile attestandosi attorno alle 600 unità. Oggi, dunque, un lavoratore del settore costa in media alle imprese attorno ai 44 mila euro all’anno. Ma c’è anche il lato positivo della faccenda. Mentre le aziende sono tutte in cura dimagrante, continuano a tenersi ben stretti i propri dipendenti, quasi tutti altamente specializzati e ricchi di un invidiabile background. Con buona pace per l’articolo 18.

Pronti a ricominciare

Nelle nostre aziende c’è da tempo gran fermento. Alcune stanno modificando il proprio modello di business ampliando l’offerta sia in senso verticale (soluzioni, sistemi, prodotti) sia orizzontale (controllo accessi, rilevazione presenze, gestione mense, raccolta dati produzione, videosorveglianza ecc.). Altre stanno spostando (se non addirittura invertendo) la rotta dal mercato OEM a quello diretto (end user) per recuperare parte della marginalità che stentano ad ottenere operando sul mercato indiretto. Altre, ancora, soprattutto le grandi, si apprestano a investire risorse umane e finanziarie importanti nella diversificazione dell’offerta e nell’integrazione dei sistemi mettendo al centro della soluzione integrata proprio il controllo degli accessi.

Quasi tutte le imprese (e questa è una buona notizia) continuano a mantenere viva la ricerca e sviluppo, sia allineando i propri prodotti in portafoglio allo stato dell’arte, migliorando la potenza di calcolo e riducendo i consumi energetici, sia mettendo in cantiere nuove soluzioni hardware e software per arricchire il ventaglio dell’offerta e dare maggiore slancio alle vendite. Difficile sapere cosa bolle in pentola. L’attività R&S made in Italy in questo campo, tuttavia, non può che concentrarsi, in particolare, sullo sfruttamento di alcune tecnologie emergenti quali la RFId (Radio Frequency Identification), l’NFC (Near Field Communication) e la biometria.

Secondo indiscrezioni, c’è chi ha allo studio modelli matematici per individuare e segnalare i comportamenti sospetti delle persone, chi è alla ricerca di nuovi metodi di triangolazione per determinare la posizione degli individui e dei mezzi dotati di transponder, chi pensa di sfruttare la tecnologia magnetoresistiva e la connessione wireless (ZigBee) per rilevare i veicoli in transito, chi punta su Google Maps per geolocalizzare i lavoratori che prestano servizi all’esterno dell’azienda e chi, ancora, ha pronto nel cassetto un sistema di controllo accessi nuovo di zecca il quale, oltre a soddisfare le classiche tre W (Who, Where, When), rileva anche perché l’utente vuole entrare (Why) e cosa porta con sé (What). Bastano questi pochi esempi per capire che l’industria italiana del controllo accessi, nonostante la crisi, è vitale e ha tutte le carte in regola per ripartire. È come un jet fermo sulla pista che continua a scaldare i motori, pronto a decollare. Un velivolo moderno, potente, veloce, dotato di tutti i comfort e anche economico. Il problema è che mancano i passeggeri a bordo. Speriamo che arrivino in fretta altrimenti si rischia di finire il carburante.



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