venerdì, 3 maggio 2024

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Il “nuovo” reato di abbandono di rifiuti e l’uso della videosorveglianza

22/01/2024

di Gianluca Sivieri - Comandante della polizia locale di Buccinasco

Dal 10 ottobre 2023, con l’entrata in vigore dell’articolo 6-ter del Decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, introdotto dalla Legge di conversione 9 ottobre 2023, n. 137, commette un reato contravvenzionale anche il “privato cittadino” che abbandona rifiuti. La novella influisce anche sul diffuso impiego di dispositivi tecnologici per l’accertamento degli illeciti in materia di abbandono di rifiuti, in particolare sull’uso dei dispositivi di videosorveglianza ricollocabile, le cosiddette “fototrappole”.

Nel corso degli anni, proprio con l’intento di contrastare su più fronti gli illeciti in materia di gestione di rifiuti, il quadro sanzionatorio di riferimento si è arricchito, ma anche complicato. Alle disposizioni del Testo unico dell’ambiente – contenuto nel Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – che prevedevano di fatto conseguenze differenti in base al soggetto autore dell’abbandono, si sono via via aggiunte altre ipotesi di illecito.

Abbandono su suolo e acque

Per l’abbandono e l’immissione di rifiuti nel suolo e nelle acque, in violazione dell’articolo 192, commi 1 e 2, l’articolo 255, comma 1, nella sua versione originaria prevedeva una sanzione amministrativa pecuniaria da 105 a 620 euro, ridotta per rifiuti non pericolosi e non ingombranti. La sanzione è divenuta poi più afflittiva nel 2010 quando è stata prevista una cornice edittale da 300 a 3000 euro (aumentata fino al doppio nel caso di rifiuti ingombranti).  Con la recente modifica, oggi la violazione dell’articolo 192 TUA è invece punita con un’ammenda da 1.000 a 10.000 euro (aumentata fino al doppio nel caso di rifiuti pericolosi).

Abbandono su strada

Sempre nel 2010 è stato modificato poi l’articolo 15 del Codice della Strada, che oggi prevede due ipotesi di illecito amministrativo: il comma 1, lettera f), vieta il deposito di rifiuti o altre materie, l’insudiciamento e l’imbrattamento della strada e delle sue pertinenze; la lettera f-bis, invece, proibisce di insozzare la strada e le sue pertinenze, gettando rifiuti o altri oggetti dai veicoli (in sosta o in movimento). La ratio in questo caso è indubbiamente la tutela della sicurezza stradale – e non potrebbe essere altrimenti – attraverso la disincentivazione di condotte che porterebbero ad alterare la normale circolazione causando intralcio, disagio e pericolo lungo la sede stradale. 

Prodotti da fumo

Con la Legge 28 dicembre 2015, n. 221, il Testo unico dell’ambiente si arricchisce con i divieti di abbandono di “rifiuti di prodotti da fumo” (art. 232-bis) e di “rifiuti di piccolissime dimensioni”. Entrambi i divieti sono sanzionati amministrativamente dal comma 1-bis dell’articolo 255 con una sanzione da 30 a 150 euro, aumentata fino al doppio quando si tratti di rifiuti derivanti da prodotti da fumo.

Cosa possono fare i Comuni

Vi è poi la questione connessa alla regolamentazione comunale in materia di rifiuti, adottata in virtù del combinato disposto dell’art. 7 del Testo unico degli enti locali e dell’art. 198 del TUA. Il primo conferisce ai comuni la potestà regolamentare – esercitata dal Consiglio comunale – nelle materie di propria competenza. Il secondo, l’art. 198 del D.Lgs. 152/2006, riguarda in modo specifico le competenze dei comuni in materia ambientale.  In particolare, il comma 2, riconosce ai comuni il concorso alla gestione dei rifiuti urbani, anche attraverso regolamenti che si occupano, tra l’altro, di: 1) misure per la tutela igienico sanitaria nella gestione dei rifiuti; 2) modalità del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti; 3) modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto dei rifiuti urbani. A ciò si aggiunge anche la possibilità per i comuni di adottare regolamenti in materia di degrado urbano e ambientale secondo quanto previsto dai commi 5 e 7-ter dell’articolo 50 TUEL. 

Il margine di manovra concesso agli enti locali, seppur limitato, è comunque funzionale alle esigenze di contrasto di condotte di abbandono di rifiuti, lato sensu. Diverso è l’uso disinvolto e censurabile della potestà regolamentare, volta a sovrapporre alle ipotesi di abbandono di rifiuti già disciplinate dagli articoli 192 e 255 del TUA, anche identici divieti locali con sanzioni meno afflittive e con devoluzione dei proventi ai comuni.

Dal 2015 la procedura “deflattiva”

La novità del 2023, con la “completa” criminalizzazione dell’abbandono di rifiuti, appare in controtendenza rispetto alle intese del legislatore del 2015. Con la Legge 22 maggio 2015, n. 68, infatti è stata introdotta la Parte VI-bis al D.lgs. 152/2006: gli articoli 318-bis e seguenti realizzano così una procedura estintiva dei reati contravvenzionali previsti dal TUA. Presupposto per avviare la procedura deflattiva è che il reato preveda una ammenda (anche congiunta alternativa all’arresto) e che il fatto non abbia causato danno o pericolo concreto e attuale di danno ambientale. In tale ipotesi quindi la polizia giudiziaria nel contesto dell’accertamento della contravvenzione provvede a imporre all’autore del fatto la regolarizzazione attraverso delle prescrizioni tecnicamente asseverate. Per quanto riguarda ipotesi che concernono l’abbandono, il deposito o la gestione illecita di rifiuti, ad esempio, la prescrizione riguarderà il corretto smaltimento degli stessi. L’adempimento nei termini prescritti da parte del contravventore, consentirà di ammetterlo al pagamento in sede amministrativa di una somma pari ad un quarto del massimo edittale e alla conseguente estinzione del reato. Il procedimento penale – che comunque deve essere incardinato e segue le normali disposizioni in materia di indagini preliminari – rimane sospeso.  Per quanto riguarda l’abbandono di rifiuti commesso dal privato, la procedura deflattiva consente quindi l’estinzione del reato a seguito della regolarizzazione e del pagamento di una somma di 2.500 euro.

L’accertamento con l’ausilio di strumenti di videosorveglianza

Oggigiorno, il tema del contrasto all’abbandono di rifiuti non può escludere considerazioni strettamente connesse all’impiego di sistemi di videosorveglianza e, di conseguenza, alla protezione dei dati personali.

Già con il provvedimento generale del 29 aprile 2004 (doc. web n. 1003482) e con quello dell’8 aprile 2010 (doc. web n. 1712680), l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali aveva dato il via all’uso di impianti di telecontrollo per la tutela ambientale. Addirittura, con il provvedimento del 2010 ha aperto all’accertamento di violazioni amministrative, conseguenti al mancato rispetto di “disposizioni concernenti modalità, tipologia ed orario di deposito dei rifiuti”, generando negli anni più recenti una corsa degli enti locali all’uso – troppo spesso disinvolto – di telecamere, “fototrappole” e altri sistemi di videoripresa.

Oggi il loro impiego deve però tenere conto della più recente normativa in materia di protezione dei dati personali: tanto quella contenuta nel Regolamento UE 2016/679 e nel vigente Codice privacy, quanto – seppur per limitati aspetti – le disposizioni del D.Lgs. 51/2018 che attua in Italia la Direttiva 2016/680.

Fondamentale è determinare le finalità perseguite: la tutela dell’ambiente rientra nel più ampio concetto di sicurezza urbana sotto il profilo della tutela del territorio e della prevenzione e repressione di illeciti. Ciò porta a ritenere che il trattamento debba essere in via generale soggetto alla conformità alla disciplina contenuta nel GDPR, salvo aspetti peculiari ricadenti nella specifica disciplina in materia di sanzioni penali.

Non basta. Come già sostenuto dal Garante nei provvedimenti citati, devono essere rispettati i principi di necessità e la proporzionalità: l’impiego di telecamere costituisce l’extrema ratio laddove qualsiasi altro intervento non è idoneo a contrastare un conclamato e oggettivo fenomeno di abbandono di rifiuti. Va da sé che al contrario i sistemi di videosorveglianza devono rivelarsi risolutivi.

Ancora, come più volte ribadito dagli interventi del Garante che a più riprese ha censurato l’operato di diversi comuni, devono essere messi in atto tutti quegli adempimenti previsti dalla normativa.

Il comune che intende utilizzare questi impianti – ricollocabili o fissi – deve poi assolvere agli adempimenti specifici in materia. Oltre a prevedere l’uso di sistemi di telecontrollo, fissi o ricollocabili, nei regolamenti comunali, il trattamento deve essere oggetto della necessaria Valutazione di impatto sulla protezione dei dati – DPIA, prevista dall’art. 35 GDPR e il loro impiego deve essere disciplinato anche dal punto di vista operativo. Per il trattamento deve inoltre essere fornita la necessaria informativa a norma degli articoli 13 e 14 GDPR, sia in formato esteso sul sito web comunale, sia attraverso l’installazione di cartelli di “area videosorvegliata”, ossia informativa di primo livello.



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