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Cavi all’amatriciana? Se li conosci, non crollano

14/03/2012

La redazione

Gli impianti di videosorveglianza, soprattutto i più datati, sono stati concepiti con un limitato numero di telecamere. Con il tempo gli utenti si sono resi conto della necessità di monitorare ulteriori zone della propria proprietà, ma anche di disporre di inquadrature differenti. Una situazione che impone di installare nuovi apparecchi e, conseguentemente, di aumentare il numero e la capacità dei sistemi di elaborazione e memorizzazione. Tutte esigenze che possono essere affrontate, sostanzialmente, senza particolari problemi. La vera difficoltà nasce dall'esigenza di posizionare un numero sempre più elevato di cavi che, soprattutto all'interno del data center, creano notevoli problemi in termini di densità. Il tutto senza dimenticare che, spesso, il sistema di cablaggio è nato senza un'adeguata progettazione. Così, dopo aver individuato il punto in cui installare una nuova telecamera, è necessario verificare la presenza di adeguate canalizzazioni o, quantomeno, la possibilità di posizionare una canalina in grado di proteggere il cavo incaricato di trasportare le immagini riprese.

In questa fase è opportuno pensare, oltre all'esigenza contingente, anche ai problemi futuri, verificando le ulteriori necessità di crescita delle infrastrutture di trasporto, sia in termini di spazio fisico che di possibili aggiunte, spostamenti o aggiornamenti. Il tutto in considerazione del fatto che, per supportare l'evoluzione dei sistemi di videosorveglianza, rimane indispensabile disporre di un'infrastruttura di trasporto fisica adatta alle specifiche esigenze, in termini di larghezza di banda e di capacità di resistere alle sollecitazioni ambientali.

Spaghetti cabling

Una simile pianificazione, con la capacità di "prevedere il futuro", si trova molto spesso solo sui manuali. In realtà, per la maggior parte degli installatori, l'aggiunta di un ulteriore cavo non comporta altro problema se non quello di trovare la "strada più breve" per andare da un punto all'altro. Una situazione che genera il cosiddetto "spaghetti cabling", ovvero un groviglio di cavi di difficile identificazione. Una situazione che, al di là degli aspetti puramente estetici, con la conseguenza di comunicare un'immagine poco professionale ai clienti, provoca disagi e ritardi nelle trasmissioni, con il rischio di non sfruttare appieno l'investimento sostenuto. Una condizione a cui si somma, in alcuni casi, il rischio di indurre perdite di dati sensibili, ma anche un immancabile rallentamento negli interventi di manutenzione, con tutti i pericoli e i costi che questo comporta.

Ad aggravare la situazione si aggiunge la crescente dimensione dei cavi, il cui diametro aumenta progressivamente al crescere della categoria e, quindi, della capacità di trasportare maggiori quantità di dati. Per comprendere quanto l'ingombro rappresenti un problema da non sottovalutare, è sufficiente rilevare che un cavo in Categoria 6 ha un diametro di 6,1 mm, un valore che sale a 8,4 mm nel caso di un analogo cavo in Categoria 6a. Una differenza che sfiora il 40% e che, per tale ragione, ha un impatto significativo sull'ingombro globale della rete di comunicazione. Per questa ragione è necessario adottare canalizzazioni scelte sulla base dell'ingombro tipico di un cavo in Categoria 6a, garantendosi così un adeguato margine di crescita, soprattutto nel caso in cui vengano adottati cavi di sezione inferiore.

La crescente densità si riflette, in modo meno evidente ma ancor più destabilizzante, sul peso dell'infrastruttura di trasporto. Un metro di cavo in Categoria 6, infatti, pesa circa 35 g, mentre in Categoria 6a supera i 54 g. Moltiplicando questi valori per la lunghezza dei cavi e il loro numero, è immediato comprendere quanto un simile fattore "pesi" sulla stabilità di armadi e telai, ma anche sulla tenuta delle soluzioni di sostegno a soffitto o a muro, soprattutto in presenza di ribassamenti o di elementi in cartongesso Anche per questa ragione, in fase di confronto fra un impianto in fibra ottica e un analogo sistema basato su cavi in rame in Categoria 6a, è opportuno ricordare che quest'ultimo riduce significativamente i costi di installazione, spostamento ed eventuali ampliamenti, ma implica maggiori spese in termini di ingombro, peso e ventilazione.

Lasciatelo respirare!

La crescita delle dimensioni e della densità dei cavi comporta un problema troppo spesso erroneamente trascurato: quello della ventilazione. Un'esigenza ovviamente non percepita nelle canaline in cui vengono posizionati cavi, in quanto il passaggio dei segnali elettrici comporta un riscaldamento del tutto trascurabile. Al contrario, le temperature risultano particolarmente elevate nei rack, dove vengono condensate le apparecchiature elettroniche che, complici l'elevata densità e capacità di elaborazione, producono notevoli quantità di calore da smaltire. Un compito che deve essere svolto, in primo luogo, sfruttando un'adeguata ventilazione. Per questa ragione, oltre ad utilizzare le nuove soluzioni che consentono di posizionare le connessioni ad alta densità, sfruttando elementi come patch panel angolati o angolabili, occorre valutare la struttura stessa del telaio adottato. Individuando, in primo luogo, i limiti del numero di terminazioni e carichi fisici tollerabili da un cabinet.

Infatti, se in passato l'attenzione era concentrata solo sulla possibilità di ospitare un adeguato numero di apparati terminali, la crescente densità impone di valutare con attenzione anche la tenuta fisica della struttura stessa. Il tutto senza dimenticare la necessità di favorire il deflusso dell'aria calda. Per questa ragione un adeguato studio preventivo consente di valutare, oltre all'ingombro necessario per soddisfare le esigenze di comunicazione attuali e future, anche una corretta pianificazione e progettazione delle canalizzazioni dedicate, lasciando così lo spazio necessario per raffreddare le apparecchiature elettroniche. Non dobbiamo infatti dimenticare che una corretta ventilazione permette al calore di defluire, naturalmente verso l'alto, limitando così l'impiego di ventole o sistemi di refrigerazione che comportano elevati consumi energetici, con un notevole impatto sulle spese di un'azienda. Un dato, quest'ultimo, evidenziato da un recente studio di Ibm, secondo il quale il 60% delle spese di gestione di un data center sono riconducibili ai consumi elettrici assorbiti per il funzionamento degli apparecchi ma, soprattutto, per garantire una temperatura inferiore ai 18 °C, come suggerito dai costruttori stessi.

Accorciare le bretelle

Per razionalizzare il cablaggio, riducendo al minimo gli ingombri che ostruiscono il corretto deflusso dell'aria e creano problemi di manutenzione, è opportuno adottare cavi "trunk" più lunghi possibile, portandoli sino a ridosso degli apparati e, possibilmente, installandoli in modo tale da non ostacolare il deflusso dell'aria. Di conseguenza vengono adottate bretelle più corte, prevenendo una serie di problemi, anche in termini di affidabilità. Considerando l'impatto economico percentualmente limitato dell'infrastruttura di trasporto fisico, infatti, si tende spesso a sottovalutarne l'importanza, dimenticando che, oltre alla scelta del cavo adatto a trasportare un'adeguata quantità di dati, è altrettanto fondamentale valutare la struttura fisica dei cavi stessi. L'elevato ingombro e il crescente peso, infatti, possono creare problemi di spazio e di corretta ventilazione ma, al tempo stesso, inducono situazioni di instabilità strutturale, che arrivano sino al rischio di distacco dei supporti istallati sui soffitti o sulle pareti, ma anche alla rottura dei rack nei quali sono racchiuse le preziose apparecchiature elettroniche.



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