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Il 90% degli impianti TVCC non è a norma privacy

03/10/2022

di Marco Soffientini - Esperto di Privacy e Diritto delle Nuove Tecnologie e docente Ethos Academy

Uno studio realizzato da Federprivacy in collaborazione con Ethos Academy rivela che oltre il 90% dei sistemi di videosorveglianza non sono in regola con la disciplina sulla protezione dei dati personali.A destare stupore non è tanto il dato in sé, quanto scoprire che ancora oggi tra le mancanze più gravi si annovera la violazione dell’articolo 13 Regolamento (Ue) 2016/679 in tema di informativa. Sotto quest’ultimo profilo, dallo studio è emerso che nel 38% dei casi non c’è proprio alcun cartello che metta a conoscenza il cittadino della presenza delle telecamere, e anche se nel restante 54% dei casi l’interessato prende atto che è esposto un cartello, tuttavia questo risulta non compilato con le informazioni necessarie o del tutto inadeguato a causa di riferimenti normativi obsoleti o sbagliati.

Purtroppo, non si tratta dell’unica grave violazione, dal momento che vengono elevate sanzioni per aver omesso gli adempimenti necessari in  tema di controllo a distanza negli ambienti di lavoro (art.4 L. N.300/1970) o posizionato telecamere con un angolo di visuale eccedente la finalità del trattamento.

Le ragioni di questa situazione sono da ascriversi a titolari del trattamento inconsapevoli dei rischi sanzionatori previsti dal Regolamento europeo sulla protezione dei dati  e ad imprese di installazione non adeguatamente preparate sotto il profilo della normativa.

Informativa e angolo di visuale

Su informativa e angolo di visuale delle telecamere il Garante si è pronunciato anche recentemente con una ordinanza-ingiunzione (Provv. N. 20 del 27 Gennaio 2022 – doc. web n.9746047) emessa nei confronti di un Circolo culturale. Il caso è nato da una segnalazione fatta dalla Polizia Locale all’Autorità Garante in merito ad un accesso ispettivo, sollecitato dalla Stazione dei Carabinieri, in merito ad alcune telecamere esterne puntate verso la facciata della Caserma. L’accesso della Polizia Locale aveva constatato che sia le sei telecamere interne, che le tre esterne al Circolo non erano segnalate da alcun cartello contenente l’informativa e due di quelle esterne riprendevano il marciapiede e la facciata della Stazione dei Carabinieri. 

Il Garante, sulla base degli elementi ricevuti, avviava il procedimento sanzionatorio, ai sensi dell’art. 166, comma 5, del Codice in relazione alla violazione dell’art. 5, par. 1, lett. a) e c) del Regolamento (angolo di visuale non circoscritto all’area del Circolo) e dell’art. 13 del Regolamento (assenza dell’informativa). Sotto il profilo dell’informativa, il Garante osserva che l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza può determinare, in relazione al posizionamento delle telecamere e alla qualità delle immagini riprese, un trattamento di dati personali e pertanto deve essere effettuato nel rispetto dei principi generali contenuti nell’art. 5 del Regolamento e, in particolare, del principio di trasparenza che presuppone che “gli interessati devono essere sempre informati che stanno per accedere in una zona videosorvegliata”. A questo scopo, quindi, il titolare del trattamento deve apporre idonei cartelli informativi secondo le indicazioni contenute al punto 3.1. del provvedimento in materia di videosorveglianza - 8 aprile 2010, tenuto conto delle Linee Guida n.3/2019 del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati. Inoltre, va tenuto presente che la necessità di utilizzare la videosorveglianza a protezione degli interessi legittimi di un titolare si ferma ai confini delle aree di propria pertinenza. Pertanto, anche nei casi in cui si renda necessario estendere la videosorveglianza alle immediate vicinanze dell’area di pertinenza, il titolare del trattamento deve comunque mettere in atto misure idonee a evitare che il sistema di videosorveglianza raccolga dati anche oltre le aree di pertinenza, eventualmente oscurando tali aree (vedi in proposito Linee Guida n. 3/2019 del Comitato europeo per la protezione dei dati sul trattamento dei dati personali attraverso dispositivi video, punto 27). Il trattamento deve quindi essere effettuato con modalità tali da limitare l’angolo visuale all’area effettivamente da proteggere, evitando, per quanto possibile, la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino rilevanti per la tutela dell’interesse legittimo del titolare del trattamento (spazi pubblici, altri esercizi commerciali o edifici pubblici estranei rispetto alle attività del titolare, ecc.). La violazione dei suindicati presupposti di legittimità del trattamento comportano un trattamento illecito di dati e l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (nel caso in esame di duemila euro) prevista dall’art. 83, par. 5, del Regolamento, mediante l’adozione di una ordinanza ingiunzione (art. 18. legge 24 novembre 1981 n. 689).

Art 4 Statuto dei Lavoratori

Come si accennava, anche la violazione dell’art 4 dello Statuto dei lavoratori è foriero di sanzioni privacy in virtù dell’articolo 114 del Codice Privacy. La regola, ricordiamola, è che prima di installare un sistema di videosorveglianza in ambienti di lavoro serve l’accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro quando derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività lavorativa. La Corte di Cassazione, con la sentenza 4331/2014, ha precisato che: «l’installazione di una telecamera diretta verso il luogo di lavoro dei propri dipendenti o su spazi dove essi hanno accesso, anche sporadicamente, deve essere previamente autorizzata dall’Ispettorato dal Lavoro o deve essere autorizzata da un particolare accordo con i sindacati. La mancanza di questi permessi, comporta la responsabilità penale del datore di lavoro». Le telecamere possono, quindi, essere montate e installate solo dopo la ricezione dell’autorizzazione. Anche la presenza dell’impianto di videosorveglianza, per quanto spento, necessita di previa approvazione. A nulla rileva l’eventuale, consenso, seppur informato, raccolto dal datore di lavoro rispett ai propri dipendenti, anche quando concerne la totalità dei lavoratori. A nulla servono i consensi eventualmente raccolti dal datore di lavoro anche se riguardano l’unanimità dei propri dipendenti. L’irrilevanza del consenso scritto o orale di tutti i dipendenti è stato affermato da Cass., pen, sez. III, 08 maggio 2017 n. 22148, che ha ribaltato un precedente orientamento espresso da Cass. pen. Sez. III, 17 aprile 2012, n.22611. I giudici di Piazza Cavour hanno sottolineato come l’articolo 4 tuteli interessi di carattere collettivo e superindividuale e la sua violazione integri una condotta antisindacale. Sempre Cass., pen, sez. III, 17 Dicembre 2019 n. 50919 ha confermato il principio per cui il consenso prestato dai dipendenti all’installazione di un impianto di videosorveglianza nei locali aziendali non è sufficiente per sanare la mancata attivazione della procedura prevista dall’art. 4 della L. 300/1970, che richiede obbligatoriamente l’accordo sindacale o, in difetto, l’autorizzazione dell’ispettorato del lavoro. Da ultimo, in una recente pronuncia della Corte di Cassazione penale, di inizio 2020, (Cass. Pen., Sez. III, 17 gennaio 2020,. N.1733) la Corte ribadisce gli orientamenti citati: “… il consenso del lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma prestato (anche scritta, …), non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice.” “… a conferma della sproporzione esistente tra le rispettive posizioni, basterebbe al datore di lavoro fare firmare a costoro, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accettano l’introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato, perché ritenuto dal lavoratore stesso, a torto o a ragione, in qualche modo condizionante l’assunzione.”Le stesse linee guida n.3/2019 dell’EDPB hanno affermato che: “Dato lo squilibrio di potere tra datori di lavoro e dipendenti, nella maggior parte dei casi i datori di lavoro non dovrebbero invocare il consenso nel trattare i dati personali, in quanto è improbabile che quest’ultimo venga fornito liberamente. In tale contesto si dovrebbe tener conto delle linee guida sul consenso.” (Given the imbalance of power between employers and employees, in most cases employers should not rely on consent when processing personal data, as it is unlikely to be freely given. The guidelines on consent should be taken into consideration in this context – Punto 47).

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