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La Regola Tecnica, questa sconosciuta (parte II)

05/05/2022

di Giovanni Villarosa - Laureato in Scienze dell’Intelligence e della Sicurezza, esperto di Sicurezza Fisica per Infrastrutture, CSO e DPO,membro del comitato tecnico-scientifico del CESPIS, Centro Studi Prevenzione, Investigazione e Sicurezza 

Riprendiamo il lungo excursus sulla regola tecnica, partito sullo scorso numero e che proseguirà ancor per qualche puntata, per concentrarci stavolta sulle differenze che intercorrono tra norma tecnica e norma giuridica. Per definizione, le norme giuridiche appartengono alla “famiglia” delle norme di diritto, che impongono, in uno specifico settore, “regole” di condotta da seguire e comportamenti da evitare, mentre le leggi (scomponibili anche in più norme specifiche) hanno una caratterizzazione di applicabilità di larga portata.

D’altra parte, sebbene queste terminologie siano spesso assunte come sinonimi, la norma non va mai erroneamente confusa con la legge, perché anche avendo le stesse caratteristiche (imperatività, positività, etc), essa si sostanzia - e dunque si differenzia - per la portata: la norma possiede infatti un valore limitato ad uno specifico settore, al contrario della legge che assume un valore di rilevanza generale su regole di condotta e comportamento. Diversamente, l’osservanza delle norme tecniche non è obbligatoria per volontà espressa dal legislatore, che non le connota infatti come “leggi” quanto piuttosto come “documenti” che definiscono talune prassi, caratteristiche, processi, secondo uno “stato dell’arte” tecnologico del momento, dichiarandone pertanto la volontarietà.

Le norme tecniche non sono peraltro frutto dell’esercizio del potere legislativo, ma rappresentano il prodotto dell’elaborazione e dell’aggiornamento continuo che gli enti di normazione, in base allo sviluppo tecnico-scientifico, pongono in essere su delega delle parti interessate (stakeholders).

Influenze reciproche

Quanto sopra è sempre vero laddove le norme volontarie siano considerate “isolatamente”; diversamente non è mai vero quando le norme tecniche e giuridiche si condizionano a vicenda, esercitando un impatto “giuridico” le une sulle altre, nella fattispecie applicativa propria dei loro ambiti di appartenenza, meglio conosciuta come “sfera di influenza”. Nel momento in cui la norma tecnica viene richiamata all’interno di una legge, facendo valere il principio giuridico per cui qualsiasi norma richiamata assume forza di legge, anche la norma tecnica diventerà cogente.

Quando dunque il professionista applicherà con diligenza tali “indirizzi” dimostrerà un metodo deontologicamente corretto nel soddisfare il dettato applicativo della legge 186, garantendo peraltro quel “livello minimo di sicurezza” rispondente alla regola dell’arte: in altre parole, applicando la norma tecnica di riferimento non è più tenuto a dimostrare di avere lavorato secondo legge.

Aggiornamento obbligatorio

Detto ciò, appare evidente come la regola dell’arte vada considerata quale elemento in continua evoluzione dottrinale, ma riferita sempre allo “stato dell’arte” tecnologico in cui si opera, alla conoscenza tecnica del periodo, della normazione e delle vigenti leggi. Quanto appena sostenuto sottolinea con forza l’obbligo per il professionista di mantenersi sempre aggiornato sull’evoluzione tecnico-normativa (CEI, EN, UNI, etc) e su quella legislativa (Leggi, DPR, DM, DLgs, etc.), perché il mancato rispetto delle “Norme”, a prescindere dall’osservazione o meno dei singoli vincoli contrattuali, determinerà sempre una responsabilità per danni, confermata peraltro da molteplici pronunce giurisprudenziali (civili/penali), tanto di merito (Tribunali, Corti d’Appello) quanto di legittimità (Suprema Corte di Cassazione). 

Responsabilità del professionista 

Né può essere mai sottovalutata la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale del professionista che opera nel settore sicurezza, scaturite dall’entrata in vigore di indirizzi specifici contenuti nell’allegato K, appendice nella norma CEI 79/3:2012, oltre alle sentenze di condanna per danni da negligenza, colpa, errata progettazione/realizzazione, mancato o cattivo funzionamento dei sistemi di sicurezza in occasione di eventi criminosi.  A tale riguardo, ogni professionista è tenuto a mantenere sempre un comportamento diligente necessario alla realizzazione dell’opera, adottando puntualmente tutte quelle misure e cautele necessarie, idonee per la corretta esecuzione della prestazione commessagli, secondo un modello di accuratezza e di abilità tecnica.

Diligenza e perizia

Ora, la diligenza si evidenzia nei profili della cura, della cautela, della perizia, della legalità sotto l’aspetto dell’integrità materiale, come nella mancanza di vizi. Mentre la perizia si sostanzia nell’uso delle abilità supportate da appropriate nozioni tecniche caratterizzanti la professione svolta, anche mediante l’utilizzo della strumentazione adeguata e necessaria all’attività professionale.

Solo per citare qualche esempio, richiamiamo alcune sentenze della Cassazione, come la n° 12879/2012, dove è scritto che se un sistema di sicurezza antirapina non funziona correttamente per difetti imputabili alla manutenzione, allorquando il sito protetto è soggetto ad evento rapina, l’azienda incaricata dell’appalto manutentivo risponde in solido dei danni sofferti, visto che: “… se non si ritenesse che un impianto di allarme specifico possa in qualche misura essere utile per evitare il furto o per attenuarne le conseguenze non vi sarebbe allora alcuna ragione per installarlo (sicché la sua potenziale utilità allo scopo può dirsi costituire nozione di fatto rientrante nella comune esperienza per gli effetti di cui all’art. 115, secondo comma, c.p.c.)…”

Esempi illuminanti

In un’altra sentenza, la n° 12995/2006, si ribadisce ad esempio come il professionista, anche laddove si attenga rigidamente alle indicazioni del progettista, può essere chiamato alla corresponsabilità per i “vizi dell’opera” in quanto, conservando in ogni caso una sua autonomia, non esegue gli impianti secondo la regola dell’arte, o in assenza di specifica formazione; quindi quando il danno è provocato da elementi non contemplati nei precetti dottrinali andrà esercitato il comportamento del buon padre di famiglia (perizia, prudenza e diligenza) che l’installatore deve sempre osservare quando la norma è carente. Tuttavia, anche quando l’installatore, nei limiti e in base alle cognizioni tecniche da lui conosciute, non segnala al committente le carenze progettuali o gli errori macroscopici dell’opera da realizzare, sarà comunque ritenuto corresponsabile in caso di danno, anche quando abbia eseguito fedelmente il progetto e le indicazioni in esso contenute, nonostante la presa di coscienza degli errori rilevati. Diversamente, se il professionista rende edotta la committenza, documentando compiutamente i rilievi sulle eventuali carenze e/o errori progettuali, ma quest’ultima gli ordina comunque di eseguire le indicazioni palesemente errate del progettista, lo stesso sarà esente da ogni responsabilità, perché privato oggettivamente dalla libertà decisionale quale “nudus minister”, perché indotto comunque ad eseguirle su insistenza del committente, e a totale rischio di quest’ultimo (Cass. sent. n° 538/2012). Partendo da questi capisaldi la Suprema Corte si è spinta oltre, stabilendo un assunto, secondo il quale, anche in assenza specifica normazione tecnica che obblighi precisi adempimenti, è configurabile la responsabilità per danni extracontrattuali conseguenti alla mancata osservanza delle generiche norme di salvaguardia. Ne parleremo nella prossima puntata.



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